La “Start-up Nation” non si fa intimorire dalla guerra

Nonostante lo shock causato dai violenti e inaspettati attacchi e l’assenza dei suoi dipendenti riservisti, i gioielli della tecnologia israeliana continuano a funzionare. La Start-up Nation non pare aver perso nulla del suo appeal internazionale.
Sono ormai diverse settimane che Israele è stato colpito nell’anima da Hamas. Ancora sotto shock per gli attacchi terroristici e della presa di ostaggi, costantemente sotto tiro dei missili, la popolazione reagisce. Anche l’economia continua a girare, il settore tecnologico in primis. “I primi giorni la situazione era molto complicata. Ma poco a poco la gente torna in ufficio. In realtà non hanno mai smesso di lavorare da casa. Le aziende non si sono fermate. Una di queste è la nostra start-up”, rivela da Tel Aviv Michael Cosenza, cofondatore di Fairgen, una società specializzata in intelligenza artificiale generativa (Fairgen.ai).
Israele viene considerato come una seconda Silicon Valley. Nel Paese ci sono più di 9000 start-up nelle quali lavorano più di 350000 persone, ossia il 10% della popolazione attiva. Un livello degno di nota in uno Stato di appena 9 milioni di abitanti. “L’hi tech rappresenta il 15% del PIL e il 25% delle nostre entrate fiscali”, aggiunge Estie Rosen, direttrice della comunicazione di Start-up Nation Central, una ong senza scopo di lucro che promuove e sostiene lo sviluppo delle start-up (startupnationcentral.org).
In un Paese che ha conosciuto tante guerre e vive costantemente sotto minaccia, questo ecosistema ha sviluppato una grande versatilità e resilienza. “Anche se diversi dipendenti mancano all’appello per via della mobilitazione di 360000 riservisti, le imprese non sono disorganizzate e continuano a far fronte alle richieste dei loro clienti”, sottolinea Estie Rosen. Le squadre si adattano, gli assenti possono essere temporaneamente sostituiti dai loro colleghi. Già all’inizio dell’anno erano stati creati molti circuiti di comunicazione su Whatsapp o Telegram per fronteggiare le proteste contro la riforma del sistema giudiziario. Si è trattato di solo di ripristinare il meccanismo. In realtà si tratta più di volontariato da parte dei dipendenti che un vero e proprio coordinamento da parte delle aziende. Qui tutti conoscono una vittima. Tutti vengono colpiti. Tutti vogliono rendersi utili.
Ma l’asso nella manica di questa Start-up Nation, è la sua capacità a innovare. “In Israele i fondatori delle start-up sono quasi tutti ingegneri, maggiormente focalizzati sulla creazione di tecnologia. Questo spiega perché il Paese sia così forte in materia di Deep tech”, chiarisce Samuel Cohen Solal, direttore generale di Sweetwood Capital Ltd, una società di gestione delle risorse, family Office e capitale di rischio. Con i suoi ingegneri, avvocati e contabili altamente qualificati, Israele è un vero vivaio per gli Stati Uniti e per l’Europa, che vengono regolarmente qui a fare affari e investire. 450 multinazionali hanno un loro quartier generale nel Paese, Meta e Google in testa. Se gli investitori esprimono qualche preoccupazione, non si è ancora registrata nessuna fuga da parte loro.
Gli ingegneri formati in Israele hanno un approccio molto pragmatico. Un esempio può essere Waze, creato per risolvere un problema della vita quotidiana. E anche se la società è stata acquisita da Google e ha aperto una sede negli Stati Uniti, Israele rimane il centro. Il suo fondatori sono diventati pluri-investitori in numerose start-up, e anche questo è tipico di questo ecosistema.
Anche la religione gioca un ruolo importante nella forma mentis. Nelle Yeshivah (istituzione educativa ebraica), lo studio del Talmud si fa sempre a due, è una sorta di Ping pong continuo tra due studenti. Questo allena uno stato d’animo critico molto particolare. Per non parlare della preparazione militare dei giovani, che fanno il loro servizio militare dai 18 ai 21 anni, fondamentale perché qui vengono testate le loro attitudini. I più brillanti vengono indirizzati verso l”Unità 8200” dell’esercito, principale polo per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie per l’intelligence e la sicurezza informatica.
In queste ore il potere della tecnologia è indirizzato all’aiuto pratico del Paese, per esempio creando rapidamente delle piattaforme dove fare donazioni alle persone in difficoltà. La parola d’ordine è trovare una soluzione ai problemi attuali, ai bisogni immediati. Presentando i suoi dati trimestrali, Intel gigante americano dei microchip, ha fatto sapere che la sua fabbrica in Israele è sempre aperta e ha dato sostegno economico ai suoi impiegati.
Quale impatto avrà il conflitto sulle sorti del settore? In tutto il Mondo il finanziamento delle start-up era in calo già negli ultimi mesi, sullo sfondo di un generale rallentamento economico, sottolinea Avi Hasson, di SNC (Startup National Central). Gli eventi attuali pongono “sicuramente una sfida alle aziende”, ma “dubito che ci sia un solo investitore che non abbia tenuto conto di questo fattore investendo in Israele”, precisa Hasson.
L’hi-tech israeliana non pare assolutamente essere pronta a perdere in campo internazionale. Ed è probabilmente uno dei settori economici più idonei a superare questa guerra, anche se durasse.