Economia e finanza dei distretti industriali: quali novità sull’export nel rapporto Intesa San Paolo

Sono le imprese distrettuali ad aver raggiunto i risultati di fatturato migliori nel 2022 (+16,7%) rispetto a tutto il complesso manifatturiero. Hanno saputo reagire al crollo pandemico con maggiore velocità ed anche rispetto ai rincari dell’energia hanno adottato azioni importanti per contrastarli. Ora puntano alle priorità: un mix combinato di tecnologia, innovazione e capitale umano, che sono tra gli elementi chiave per ritornare a crescere nel 2024, quando la domanda si riprenderà.
È questo in estrema sintesi il fil rouge del XV Rapporto annuale “Economia e finanza dei distretti industriali”, presentato il 18 luglio a Milano dal Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro, dal Chief Economist Gregorio De Felice e dal Responsabile della Ricerca Industry & Banking Fabrizio Guelpa.
L’analisi ha osservato i bilanci di più di 90 mila imprese italiane, con il risultato che 22.302 appartenenti a 159 distretti industriali hanno evidenziato un netto recupero dopo il periodo Covid, rispetto alle restanti 68.377 imprese non distrettuali specializzate comunque in produzioni distrettuali. Una vivacità maggiore le PMI distrettuali l’avevano fatta registrare già nel 2021, evidenziando un fatturato di +5,2% rispetto al 2019, ma in un contesto macroeconomico complesso hanno allungato ancora di più le distanze dal gruppo delle non distrettuali. Dal quadro emerge ancora una volta con evidenza che le imprese più votate al cambiamento ed alla crescita in termini tecnologici, di innovazione e di investimento in capitale umano sono proprio quelle che sanno affrontare meglio i mercati esteri e soprattutto sono in grado di continuare a presidiarli. Infatti, queste stesse imprese distrettuali hanno portato il loro fatturato export complessivo nel 2022 a +20% rispetto al 2019, per 153 mld di euro: numeri di tutto rispetto se ricordiamo che la soglia dei 100 miliardi era stata superata solo 10 anni prima e che nel 2019 si era ancora abbondantemente sotto la soglia dei 130 miliardi.
È evidente che anche queste PMI hanno dovuto affrontare il forte aumento dei costi delle materie prime ed energetiche, in parte però traslato sui prezzi, che ha condizionato la marginalità unitaria, ma grazie alla capacità di reazione, all’efficientamento dei processi, all’autoconsumo ed ai sostegni governativi questa stessa marginalità ha subìto una riduzione contenuta, inferiore al punto percentuale.
È interessante soffermarsi su alcuni elementi che emergono da questo rapporto rispetto al tema degli scambi commerciali internazionali: per esempio è vero che la propensione all’export è elevata e sostanzialmente molto simile (ma non identica) tra le imprese distrettuali, e non, di medie e grandi dimensioni, ma è invece più contenuta nelle piccole e micro imprese, dove quelle distrettuali si distinguono ancora più nettamente in positivo rispetto ai soggetti di pari dimensioni localizzati al di fuori dei distretti. L’unione fa la forza e soprattutto la condivisione di best practice aiuta le imprese a crescere: esempi sono da una parte le destinazioni commerciali, che per le imprese distrettuali sono mediamente più lontane rispetto alle ‘sorelle’ non distrettuali; dall’altra la possibilità di fare rete con fornitori nazionali più “a corto raggio” rispetto ai concorrenti non distrettuali, potendo quindi beneficiare di minori costi di trasporto.
Nel rapporto non emergono particolari novità sul fronte dei settori merceologici, che hanno performato meglio nell’export: sistema moda (beni intermedi e di consumo), metallurgia, materiali da costruzione, beni intermedi quali carta, gommaplastica e legno, meccanica, alimentari e bevande, elettrodomestici e mobili. Ma è sul fronte della geografia degli scambi che emergono evidenze interessanti: se l’Europa mantiene il primato quale principale area sia di destinazione sia di approvvigionamento per tutti e quattro i paesi analizzati (Italia, Germania, Francia e Spagna), nei primi dieci mesi del 2022 un ruolo chiave lo hanno giocato l’area NAFTA (dal 2020 USMCA) per l’export e l’Asia per l’import.
Non è da sottovalutare questo nuovo panorama di mercati di destinazione e di fornitura: fattori quali la pandemia, il conflitto russo-ucraino, il rialzo dei prezzi di energia e materie prime, criteri ESG – solo per citare i più impattanti ed urgenti negli ultimi anni – hanno obbligato le imprese a rivedere piani di sviluppo sui mercati esteri e politiche di approvvigionamento, spesso molto diverse per le singole filiere.
Quello che spesso è stato vissuto come criticità si è rivelato un’opportunità di cambiamento ed innovazione impellente ed ecco che le imprese che hanno risposto con velocità ed adattabilità a queste sollecitazioni hanno registrato risultati tangibili sui mercati esteri, banco di prova della capacità di essere competitivi e rispondere alle sollecitazioni dei mercati globali. Il vantaggio strategico nel processo di internazionalizzazione si gioca, oramai, sempre più gestendo complessivamente l’intera supply chain, accorciando le catene globali del valore, attivando investimenti in tecnologia, adottando soluzioni innovative in tutti i processi aziendali, vigilando i criteri ESG e, non ultimo, gestendo il passaggio generazionale.
Le imprese distrettuali hanno dimostrato di avere adottato percorsi di sviluppo che le hanno distinte all’estero: è sostanziale che il percorso di crescita e consolidamento sia persistente, ma è indubbio che il contesto attuale in continua evoluzione costringe le imprese a riformulare piani e strategie con tempistiche sempre più di breve termine, con la necessità di dimostrarsi resilienti e propensi al cambiamento.