I genitori che ci vietano le caramelle e TikTok

Nella grande e schiumosa marea di contenuti in cui siamo immersi, accade che un Paese decida di spegnere le luci su uno dei palcoscenici più seguiti: TikTok. L’Albania ha appena imposto un divieto di un anno alla piattaforma, motivandolo con la necessità di proteggere i minori dall’incitamento alla violenza. Il casus belli? L’uccisione di un adolescente a novembre 2024, avvenuta dopo una disputa nata proprio su TikTok. Il primo ministro Edi Rama non ha usato mezzi termini, definendo il social una “fabbrica di feccia e fango“. E già qui bisognerebbe fermarsi e riflettere.
È chiaro che TikTok dia tanta voce libera ad assurdità, contenuti idioti, sfide al limite del suicidio e messaggi discutibili. Ma basta un episodio drammatico per decretarne la chiusura? Il ragionamento del governo albanese ricorda quello delle mamme che vietano le caramelle a un figlio perché ne ha mangiate troppe e si è sentito male. Soluzione efficace? Non proprio. Come sempre accade con i divieti, il rischio è che il desiderio di accedere al contenuto proibito aumenti esponenzialmente.

D’altra parte, TikTok non è un innocente passatempo. La piattaforma è stata già vietata in India dal 2020 e ha subito restrizioni in Australia e negli Stati Uniti. In effetti, il social più amato dai giovanissimi non è solo un luogo di balletti e ricette da un minuto: è anche un veicolo di disinformazione, dinamiche perverse e manipolazioni algoritmiche che premiano il trash più del contenuto utile.
Eppure, la verità è che il problema non è TikTok. O meglio, non è solo TikTok. I social sono specchi del nostro tempo e il loro contenuto lo decidono gli utenti. Se le nuove generazioni sono catturate da contenuti tossici, è perché il sistema educativo, familiare e sociale ha fallito nel proporre alternative migliori. Se i ragazzi trovano rifugio nelle challenge più stupide, nei litigi virtuali che si trasformano in tragedie reali, forse il problema è a monte. E qui arriviamo al nodo della questione: il divieto imposto dal governo albanese è una misura di protezione o una comoda scusa per esercitare un controllo più ampio sulla comunicazione digitale? L’opposizione accusa Rama di censura, visto che le elezioni parlamentari sono dietro l’angolo.
Certo, il contesto non è semplice: TikTok si basa su un algoritmo di machine learning che sfrutta il deep- learning per analizzare in tempo reale il comportamento degli utenti. Il sistema utilizza tecniche di retention (attrazione prolungata dell’attenzione dell’utente) che massimizzano il tempo di permanenza sulla piattaforma attraverso una personalizzazione estremamente granulare del feed. L’algoritmo di TikTok, basato su modelli IA conversazionali, effettua raggruppamenti degli utenti in micro-nicchie, analizzando metriche di coinvolgimento utente come il watch-through rate e l’interaction frequency. Nel pratico, ti piacciono i video di cucina? Bene, ti sommergerà di ricette. Ti intriga il gossip? Preparati a un fiume di scandali. E se clicchi su contenuti discutibili, be’, auguri: il tuo feed diventerà un vortice senza fondo di complottismi, challenge pericolose e teorie strampalate.

È quello che in gergo si chiama echo chamber, una bolla dove trovi solo contenuti che rafforzano le tue convinzioni, eliminando ogni confronto con idee diverse. Come fosse una stanza piena di persone che ti ripetono lo stesso concetto. Lo stesso meccanismo che ha contribuito a radicalizzare intere fasce di popolazione, dagli elettori di Trump durante l’assalto al Campidoglio ai giovanissimi che si sfidano in prove assurde con esiti tragici. Insomma, TikTok sa esattamente come incollarti allo schermo, ma senza preoccuparti troppo della qualità di ciò che guardi.
Nonostante ciò, detto da chi, per periodi molto lunghi, ha disinstallato l’app in questione, nella sua imprevedibilità, TikTok è una piattaforma particolarmente efficace nella creazione di sottoboschi culturali, non solo tossici come nel caso della comunità maschile incel (problematica sociale ben raccontata dalla recente uscita di Adolescence su Netflix) o, ancora peggio, dei seguitissimi account di genitori che sfruttano l’immagine di minori nella redditizia pratica di sharenting. Anzi, dalla più esotica formula brain rot – “bro is cooked“, “fine shyt“- alla teoria cospirazionista di turno, fino a canali in grado di diffondere in modo efficace consapevolezza su temi delicati, con linguaggi molto più adatti della televisione generalista, la piattaforma asiatica è angelo e bestia insieme.

Nonostante ciò, proprio questo suo approccio anarchico e user-centric rivela anche quanto, col giusto lavoro di sensibilizzazione sociale, questa piattaforma abbia potenzialità interessanti. Nel creare non solo contenuti innovativi, ma anche nell’unire micro e macro-comunità intorno a idee e pratiche. Ecco, allora viene il dubbio che TikTok non sia stato bandito principalmente per il bene dei giovani, ma per il bene del potere.
Nel frattempo, i ragazzi albanesi, smanettando su una VPN, continueranno a scrollare video tra una lezione e l’altra, esattamente come fanno i loro coetanei di tutto il mondo. Perché una cosa è certa: bandire un social non spegne il bisogno di essere visti, ascoltati, seguiti e di appartenere. E finché il mondo adulto non offrirà risposte migliori, l’algoritmo vincerà sempre. Eppure, la domanda che dovremmo porci è un’altra: cosa significa davvero offrire “risposte migliori”? Perché se l’alternativa proposta è il solito paternalismo moralizzatore, fatto di ammonimenti e divieti inefficaci, allora continueremo a perdere la partita. Serve un cambio di paradigma: educazione digitale nelle scuole, strumenti di moderazione efficaci, un serio dibattito sulle responsabilità delle piattaforme e degli utenti.
Invece di inseguire l’utopia di un mondo senza social tossici, si dovrebbe educare a navigarli con consapevolezza. Non è TikTok il problema, ma l’assenza di una cultura digitale che renda le nuove generazioni capaci di distinguere il contenuto di valore da quello tossico. Perché alla fine, vietare è sempre più facile che educare. Ma è anche sempre meno efficace.