Al Teatro Basilica la tragedia di Amleto, principe di Danimarca
Si è conclusa ieri, al Teatro Basilica di Roma, la messa in scena di una tra le forse più celebri tragedie di Shakespeare: Amleto. Grazie all’adattamento e alla regia di Alessandro Fabrizi, la famosa pièce è tornata a occupare gli affascinanti spazi di una delle realtà teatrali più fresche della capitale.
Discutere in merito a Shakespeare è ostico quanto superfluo, la sua grandezza è di fatto indiscussa e senza tempo, tuttavia, mai come in questo periodo, le atmosfere del Bardo riescono a toccare le corde più profonde dell’animo umano. Tutto ciò ancor di più se si considera la maestosità dell’Amleto. Tragedia senza tempo, appunto, la cui stratigrafica lettura non può lasciare impassibile alcun astante, quale che sia la sua predisposizione d’animo.
Anche se può apparire ridondante, tracciarne brevemente le essenziali linee narrative può risultare utile. Nel XVI secolo, in una Danimarca scossa dalla recente morte del suo re, Amleto soffre la dipartita del padre e il recentissimo matrimonio della madre col fratello del defunto sovrano. Questi, come presto si scoprirà per mezzo dell’apparizione di un fantasma, ne ha ordito l’omicidio per usurparne il trono. Amleto, chiamato dunque dallo spettro del padre a vendicarne la morte, dovrà fingersi pazzo; perché solo la follia simulata potrà condurlo alla verità, ma a quale costo? In un vortice di tradimenti, di sussurri e non detti, di uomini subdoli e donne innamorate, si intreccia la tragedia in cinque atti, che scandaglia una molteplicità di aspetti dell’animo umano. Se il linguaggio shakespeariano può inizialmente stordire, la fresca, seppur fedele, traduzione di Nadia Fusini lascia immergere lo spettatore tra gli spazi del castello di Elsinore senza tradirne gli aspetti più lirici.
Essere o non essere? Giunti al celebre soliloquio, è la notevole professionalità di Alessio Esposito che lascia comprendere l’attenzione con cui l’opera è stata trasposta. La perizia artistica di Alessio Del Mastro – Laerte – e Francesco Buttironi – Orazio – completano un trittico di nuovi attori da attenzionare. Sorprendente la trasformazione operata da Maria Vittoria Argenti che ha stupito nella sua Ofelia scossa dalla follia. Poco da aggiungere su Alessio Esposito, Alessandro Fabrizi, Laura Mazzi, Salvatore Palombi e Clemente Pernarella, degni di una tragedia che è pilastro del teatro moderno. Una menzione va a Giovanni Ciaffoni che col suo accompagnamento musicale si è rivelato essenziale, così come i costumi di Marina Sciarelli, adeguati e non eccessivamente barocchi.
Di certo, l’incantevole scenario del Basilica ha ulteriormente permesso quella rottura della finzione scenica tanto cara all’autore, con un’immersione ancor più totalizzante nel mondo immaginifico e terribilmente reale di William Shakespeare.