A scuola di politica. Cavour maestro di Amato
Il termine politica, nella sua accezione più elevata e arcaica, richiama all’arte, al saper fare ciò che più si allinea al benessere dello Stato. Un’idea che nel corso dei millenni ha mutato forma e contenuti e che si è disvelata in molteplici fenomeni storici e culturali. In un momento storico come il nostro, in cui partecipare alla vita politica appare di facile accesso, mai ci siamo sentiti così lontani dal fare politica. L’idea stessa di leader politico ha perso forza e fascino di fronte all’avvicendarsi di personalità in grado di sparire lasciando a stento un degno ricordo. Giuliano Amato, già Presidente del Consiglio e più volte ministro, nonché presidente della Corte costituzionale, ci ha consegnato, per i tipi de Il Mulino, una raccolta di dieci discorsi di uno dei più grandi uomini politici della storia d’Italia: Camillo Benso conte di Cavour.
C’era una volta Cavour. La potenza della grande politica non si presenta come una mera silloge di discorsi parlamentari tenuti dallo statista piemontese; come il titolo nella sua formula incipitaria ci suggerisce, il volume è una narrazione della storia del grande progetto di unità nazionale che caratterizzò gli anni centrali del Risorgimento italiano, in un percorso che dal 1850, per oltre un decennio, ci conduce al marzo del 1861, anno dell’Unità, attraverso le parole pronunciate da Cavour e rilette da Giuliano Amato.
Il volume consente di approfondire e comprendere al meglio alcuni passaggi storici dell’allora Regno dei Savoia, le difficoltà incontrate da Cavour nel suo percorso politico da quando, ancora Ministro dell’Agricoltura si pronuncerà in favore della Legge Siccardi per l’abolizione del foro ecclesiastico, mostrando già la posizione nei confronti dello Stato pontificio, per lui, ostacolo imponente per l’unificazione. Nei discorsi si intravedono le trasformazioni parlamentari, il sommesso vociare di un pubblico che sapeva leggere le sottigliezze retoriche del conte. In tal senso torna utile la lettura del discorso alla Camera del febbraio 1852, in cui Cavour, che poco prima aveva stretto un patto segreto con Urbano Rattazzi, dando vita al cosiddetto “connubio”, si allontana sommessamente dalla fronda ultraconservatrice per abbracciare le istanze della Sinistra storica che lo porteranno non solo a capo del governo ma alla guida di un parlamento che farà l’Italia. Acume politico, perizia oratoria e machiavellico ragionamento caratterizzano il fare di Cavour che si destreggia tra un re prudente e un parlamento che non trovava la quadra tra istanze repubblicane, confederate e monarchiche. Le esperienze mazziniane andavano temute proprio come il desiderio di una confederazione soggetta alla supremazia papale. Poi c’erano gli austriaci, Napoleone III e Plombières, la guerra di Crimea, la prima alla quale partecipare solo per sedersi poi al tavolo dei potenti. Cavour che non nutriva grandi simpatie per Garibaldi che appariva come una mina vagante. C’è dentro questi discorsi tutta la volontà di “fare l’Italia”, dalla questione di Roma, senza la quale saremmo stati mutilati, al ferreo desiderio di creare uno stato laico, immune dalle lusinghe clericali.
Amato inserisce infine un undicesimo discorso, pronunciato da Rattazzi. Quest’ultimo annuncerà alla Camera la morte dello statista il 6 giugno 186 e lo ricorderà con le seguenti parole:
«Colla potenza del suo ingegno, colla forza della sua volontà, egli aveva resi, in circostanze così straordinarie, segnalati servigi all’Italia, e stava come in procinto di mettere la corona alle comuni speranze, ai voti comuni. L’Italia deve essergli riconoscente per quanto operò; deve essere dolente di averlo perduto».
Il più insigne statista d’Europa moriva lasciando una grande lezione, la buona politica poteva concretizzare grandi sogni. Giuliano Amato con questo “manuale” ci offre un modello senza tempo.