Fabrizio De André, una canzone in genovese

La canzone Sidun è una delle canzoni dell’ album Crêuza de mä del 1984.
L’intero album è cantato interamente in genevose, dialetto natale di Fabrizio De André, compositore e cantante. Il disco è stato considerato dalla critica mondiale come uno dei dieci album più importanti della musica internazionale. Sidùn è la città di Sidone, in Libano, palcoscenico di continui massacri durante la guerra civile che sconvolse il Libano (campo di battaglia di Siria e Israele) da metà aprile 1975 fino al 1991. A farne le spese furono naturalmente i civili libanesi e neanche a dirlo i rifugiati palestinesi. Affranti da un destino in debito da sempre, con la sola colpa di esistere La traccia si apre con le voci di Ronald Reagan e Ariel Sharon, alle quali fa da sfondo il rumore dei carri armati. L’intro segue con le note di un sitar che tende a farci aprire verso un viaggio apparentemente dolce, verso la terra della scrittura, dei cedri , delle rose di Gerico . Ma il suo epilogo sarà ben diverso.
Dopo l’attacco subito dalle truppe del generale Sharon invece, prorpio sulla terra dei cedri nel 1982, Sidun si trasfigura tramite le parole del cantautore genovese in un uomo arabo di mezz’età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. La sua piccola morte, a cui accenna Faber nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo, bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea. Il canto del poeta genovese ci fa riflettere (come suo solito fare in tutte le sue composizioni ) in quattro tempi : oltre che ad essere attuale e regalarci immagini che vediamo oggi ( come quel padre), è pura poesia quindi è eterna; i suoi innegabile quarant’anni che la datano invece, la rendono una mancanza musicale che oggi lascia un vuoto di parole troppo difficile da colmare.
Ma sono le sue parole che si affacciano disperate e senza tregue al futuro.
È d’obbligo, quindi, da questa sera, mettere Sidun tra le prima tracce delle nostre playlist:
Intercettare il cedro.
Il mio bambino il mio
Il mio
Labbra grasse al sole
Di miele di miele
Tumore dolce benigno
Di tua madre
Spremuto nell’afa umida
Dell’estate dell’estate
E ora grumo di sangue orecchie
E denti di latte
E gli occhi dei soldati cani arrabbiati
Con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli
A inseguire la gente come selvaggina
Finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia
E dopo il ferro in gola i ferri della prigione
E nelle ferite il seme velenoso della deportazione
Perché di nostro dalla pianura al molo
Non possa più crescere albero né spiga né figlio
Ciao bambino mio l’eredità
È nascosta
In questa città
Che brucia che brucia
Nella sera che scende
E in questa grande luce di fuoco
Per la tua piccola morte.
Fabrizio De André