Girare il mondo gratis: l’intervista ad Enrico Franceschini

Ci sono film d’azione, commedie romantiche o serie TV dove d’istinto si tiene per il protagonista, e per tutto il tempo si è li, trepidanti, immedesimati e in attesa del lieto fine. Poi ce ne sono altri dei quali ci si scorda anche che c’è una trama, tanto è bello il viaggio: con gli eventi che si svolgono nella fantasia nelle emozioni e nella memoria del protagonista e la realtà che si confonde con il racconto. Parlare con Enrico Franceschini, per 40 anni corrispondente estero de La Repubblica, è come immergersi in uno di quei film talmente belli che si vorrebbe non finissero mai: con lui che con leggerezza e nessuna enfasi passa dagli aneddoti più curiosi sui padri del giornalismo moderno, da Scalfari a Zucconi, agli incontri con i tanti capi di Stato, da Ronald Reagan a Mikhail Gorbaciov, senza dimenticare Bruce Willis o Usain Bolt; pure Neil Armstrong, il primo uomo sulla luna, non è sfuggito al suo carnet. Strada facendo racconta i Paesi dove ha vissuto, le case che ha cambiato gli ostaoli e i traguardi lungo il cammino; e mentre parla, proprio per quel fare leggero, da cantastorie, il dubbio è sempre lo stesso: starà dicendo il vero? Ed è questa un po’ la stessa impressione che si ha leggendo il suo ultimo libro, Come girare il mondo gratis – un giornalista con la valigia (Baldini + Castoldi): anche qui, con la stessa leggerezza, ci accompagna in un viaggio al termine del quale si resta con la voglia di fargli ancora tante domande, in attesa della prossima tappa, dei nuovi incontri, di un’altra valigia ed un altro trasloco. Con un’unica certezza: che è innamorato del suo lavoro, e che per lui fare il giornalista giramondo sia il mestiere più divertente che c’è; il prezzo è non fermarsi mai, il premio è girare il mondo gratis.
Quarant’anni e più fra New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e Londra, dove tuttora vive. Qual è il Paese dove ha vissuto in cui ha lasciato il cuore, quello che è ormai un capitolo chiuso e quello dove non ha mai vissuto ma le sarebbe piaciuto?
“Il cuore a New York, perché è il posto in cui, arrivato senza niente, ho realizzato il mio sogno americano: diventare un corrispondente estero. Il capitolo chiuso è la Russia, che ho molto amato e su cui ho avuto grandi speranze di democrazia, ma finché c’è Putin non ci torno, altrimenti con quello che scrivo di lui c’è il rischio che mi sbatta in prigione. E quello che mi sarebbe piaciuto è la Cina, dove sono stato per lavoro ma avrei voluto scoprire molto di più: per esempio quale è la Rimini dei cinesi”.
Dalle guerre ai terremoti, dai film di Hollywood ai potenti della terra, lei ha partecipato ai grandi eventi che hanno cambiato la storia e incontrato davvero tutti. Chi è il personaggio che più le ha lasciato il segno e perché’?
“Mikhail Gorbaciov, perché intervistandolo al Cremlino poche ore dopo le sue dimissioni e la scomparsa dell’Urss non lo trovai amareggiato e depresso, ma determinato e fiducioso che il seme da lui gettato non sarebbe inaridito del tutto. Mi auguro che avesse ragione, i tempi della Russia sono lunghi”.
I primi passi da giornalista fuori dall’Italia li ha mossi a New York. Come ci e’ arrivato? Ci racconta di quel barista che all’angolo di Hell’s Kitchen le faceva il caffè ogni mattina?
“Ci sono arrivato con una Olivetti portatile, il borsone dei miei allenamento di basket con un po’ di vestiti e mille dollari in tasca. Prima casa a Hell’s Kitchen, la cucina dell’inferno, quartiere portoricano: ma nel caffè all’angolo il barista era un aspirante attore di nome Bruce Willis. Diventammo amici e ce l’abbiamo fatta tutti e due”.
Dopo 10 anni di New York ha chiesto di andare in Unione Sovietica. Poco dopo essere diventato corrispondente da Mosca ha vissuto forse lo scoop più importante della sua carriera, che le è valso nel 1993 il Premiolino, uno dei più antichi e prestigiosi premi giornalistici italiani. È stato testimone del crollo del comunismo, e con il Cremlino sotto assedio è finito in diretta sulla CNN, tra l’incredulità dei suoi colleghi romani. Ci racconta come è andata?
“Per dirla in breve, andai con un collega a intervistare i capi della rivolta comunista sotto le cannonate nel parlamento in cui erano assediati dai carri armati di Boris Eltsin. Ma il nostro vero scoop, per cui ricevemmo un premio, fu venire poi intervistati alla Cnn: due giornalisti italiani alla tivù americana, questa fu la grande notizia, in un Paese di inguaribili provinciali come il nostro”.
Tra i suoi incontri anche tanti capi di Stato, da Reagan ad Arafat alla Regina Elisabetta II. Continuando con gli aneddoti: cosa è successo quella volta che si è ritrovato a pranzo a Buckingam Palace?
“Dopo mangiato, in piedi nel fumoir a bere un caffè, mi ritrovai davanti la regina che scelse me come primo dei 200 ospiti per chiedermi se mi ero divertito. Risposi in tono fantozziano: è stata la serata più bella della mia vita!”
È ancora possibile “girare il mondo gratis”, nell’era dei media digitali e dei social?
“Secondo me sì, si può ancora girare il mondo facendo i giornalisti, come feci io, ma consiglierei di farlo in un posto diverso dal mio: New York è piena di giornalisti italiani, idem Londra o Parigi, ci sono però tre continenti fondamentali per il 21esimo secolo, pieni di notizie e semivuoti di giornalisti italiani, Africa, Asia e America Latina. Se oggi avessi 24 anni, andrei lì”.
Come girare il mondo gratis – un giornalista con la valigia, ha detto, non è un manuale di istruzioni per l’uso, bensì un lungo viaggio per capire com’è davvero, dietro le quinte, il lavoro del corrispondente estero e magari ispirare chi sogna di farlo: quali consigli darebbe agli aspiranti giornalisti di oggi?
“Di imparare almeno una lingua difficile prima di partire, cioè il cinese, l’hindi, l’arabo o almeno il portoghese, oltre all’inglese. E poi di sapere fare il giornalista multimediale: scrivere, ma anche fare podcast e girare video. Opportunità che non c’erano 40 anni fa”.
Lei ha anche scritto tanti libri, tra cui alcuni romanzi. In un’intervista ha definito Federico Fellini, suo quasi concittadino e con il quale ha vissuto una grande serata alla Trump Tower di Manhattan, il più grande poeta contemporaneo. Quanto la inorgoglisce quando definiscono i suoi libri “felliniani”? E soprattutto, dopo tanto girovagare, sente un po’ il richiamo della riviera romagnola?
“È il complimento più bello! E sento moltissimo il richiamo della Romagna, così tanto che ho scritto tre gialli per far fare al mio alter ego, un ex-giornalista giramondo andato in pensione, quello che una parte di me vorrebbe fare: ritirarmi a vivere in un piccolo borgo di mare della Riviera. Magari a Cesenatico, il porto canale più bello del mondo. Andateci fuori stagione, magari sotto Natale, e mi darete ragione”.
