L’arte di guardare. Robert Doisneau all’Ara Pacis


Nella bella cornice del Lungotevere, e precisamente al Museo dell’Ara Pacis, nel centro di Roma, dal 28 maggio al 4 settembre 2022 è possibile imbattersi in un’altra atmosfera: quella parigina, del centro e delle sue banlieue. Si può allora incontrare l’oggetto dello sguardo di Robert Doisneau, tra i maggiori fotografi e maestri della fotografia umanista, attraverso gli oltre 130 scatti in bianco e nero appartenenti alla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, ora raccolti nella mostra ospitata all’Ara Pacis.
Undici sezioni ad articolare il percorso della mostra: curata da Gabriel Bauret e prodotta da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Silvana Editoriale: Concierges (1945-1953), Enfances (1934-1956), Occupation et Libération (1940-1944), L’Après-Guerre (1945-1953), Le Monde du travail (1935-1950), Le Théâtre de la rue, Scènes d’intérieur (1943-1970), Mode et Mondanités (1950-1952), Portraits (1942-1961), Une certaine idée du bonheur (1945-1961), Bistrots (1948-1957).
La strada, teatro della vita

La passeggiata tra queste sezioni permette di incontrare sin da subito lo spirito umanista del fotografo francese, che con piglio attento e intelligente coglie e ferma l’istante dell’ordinario, mostrandone sovente i caratteri straordinari, mostrando la straordinarietà della strada, il luogo di incontro tra gli esseri, tra loro e con sé stessi; e della strada la contraddizione, la realtà scarna che rende il fotogiornalismo di Doisneau — degli scatti rubati quanto di quelli commissionati, alternati in questa esposizione romana — sempre sincero, schietto. La gran parte degli scatti che costituiscono questa esposizione appartengono al periodo più fecondo del fotografo, dall’inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta; fatta eccezione per la sezione Occupation et Libération e L’Après-Guerre, per loro natura circoscritte in un tempo piuttosto specifico, la percezione di fronte alla gran parte degli scatti è quello di foto senza tempo, perché al centro vi è quell’oggetto dell’umanesimo che è la persona, le persone: l’interazione tra esse, la loro goffaggine, la loro dignità. Non a caso Doisneau ha espresso chiaramente il suo interesse: «Mi piacciono le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. […] Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori. […] Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico».
Uno spirito che emerge chiaramente anche dagli stralci del film Clémentine Deroudille Robert Doisneau. Le Révolté du merveilleux, proiettati nella sala dedicata all’interno della mostra, e dalle parole del curatore Gabriel Bauret. Lo spirito empatico e partecipe, ma al contempo maturo, che si lascia colpire (e quindi colpisce) senza ingenuità, in quel filo sottile e difficile tra l’incanto della realtà (e degli esseri umani) e la sua freddezza, la sua possibile durezza.
Ironia e malinconia: la perfetta imperfezione della realtà
Doisneau si fa così — secondo una propria stessa definizione — “pêcheur d’images”, pescatore d’immagini, capace di aspettare il momento da immortalare, capace di guardarlo e riconoscere, riconoscendo ed evidenziando così una sorta di “perfetta imperfezione” degli angoli di realtà e degli angoli dell’umanità, della società. Diviene allora lui il primo protagonista degli incontri che riproduce, del confronto continuo con gli altri: basti pensare all’importante rapporto con Jacques Prévert o con Robert Giraud, che rispettivamente aprono Doisneau allo sguardo poetico e alle scorribande dei bistrot e della banlieue di Parigi. Ciascuno dei due, e ciascuna esperienza, ricordano a Doisneau l’insegnamento avuto già da suo nonno: l’arte di non prendersi troppo sul serio, che egli fa suo mettendosi al servizio della fotografia «come un artigiano». L’arte di Doisneau è questa rappresentazione quotidiana dell’esistenza, della tenerezza dell’infanzia e dell’amore, della «condivisione di sguardi», dove ci sono sempre persone o attimi da guardare.
Ed ecco allora il filo rosso della fotografia dell’artista, che emerge con note diverse in tutti gli scatti: una mescolanza continua e affascinante tra ironia e malinconia, tra distacco e affetto, tra uno sguardo appassionato ed uno scanzonato. Uno sguardo capace di vedere le cose nella loro sostanza, senza possederle o cambiarle. E così di coinvolgere gli spettatori nel medesimo fascino di leggerezza e nostalgia. Con un’unica, costante parola d’ordine, dichiarata dallo stesso artista (per scattare una buona foto, ma forse anche per avere uno sguardo amico sul mondo) e che ci si può volentieri portare dietro da questa esposizione come promemoria per ciascuno, qualsiasi professione si abbia o qualsiasi cosa si faccia in questo istante, nella giornata di oggi e nei prossimi decenni: « Regarder, regarder, jusqu’à en être complètement saoul de regarder ! »; «Guardare, guardare, guardare; finché lo sguardo non sarà totalmente inebriato, ubriaco dal guardare!»



Informazioni
Robert Doisneau
Museo dell’Ara Pacis
28 maggio-4 settembre 2022 (9:30-19:30)
Per maggiori dettagli consultare la pagina Biglietti e videoguide