Crypto Art Revolution: perché c’è chi investe milioni in un’opera digitale?

Viaggio nel mondo dell’arte ma non come lo conosciamo: da alcuni mesi si parla sempre più spesso di crypto art, un modo nuovo di interpretare l’arte in modo digitale, dove non esistono critici o intermediari ma tutto è legato alla tecnologia blockchain ed alle crypto valute, con scambi potenzialmente infiniti e super veloci. Il fenomeno non è poi così nuovo, ma per consacrarne la visibilità è servito un partner istituzionale: la celebre casa d’aste Christie’s lo scorso marzo ha battuto, per la somma record di circa 69 milioni di dollari di controvalore in cryptovaluta Ethereum, l’opera Everydays: the first 5000 days dell’artista americano Beeple, un collage di immagini digitali postate una al giorno a partire dal 1 maggio 2007.
Un’asta che ha segnato un doppio record, facendo di Christie’s la prima grande casa d’aste ad offrire un’opera puramente digitale con un unico NFT (Non-fungible token), e ad accettare criptovalute quale forma di pagamento.
Un NFT è un certificato elettronico che attesta l’autenticità dell’opera e che può tecnicamente contenere qualsiasi elemento digitale (inclusi GIF animati, disegni, canzoni e così via) o anche la cartolarizzazione di un’opera reale (come nel caso di The Currency di Damien Hirst).
Un NFT può essere unico, come un dipinto reale, o una copia di molti (come le classiche edizioni a tiratura limitata o come le proprietà condivise), ma la blockchain conserva comunque traccia di chi ha la proprietà del file, un po’ come fosse un serial number. Con l’ingresso degli NFT, dunque, la non replicabilità ed unicità si sposta dall’opera d’arte alla sua titolarità, con la blockchain che assicura che in un preciso momento possa esistere solo un unico titolare di quello specifico token.

Con l’ingresso di Christie’s (e a seguire Sotheby’s) in questo nuovo segmento, il mondo dell’arte tradizionale riconosce così la nuova frontiera digitale e gli scambi virtuali.
Nonostante questo, i quesiti ancora aperti sono molti, da quelli estetici, se un’opera digitale può provocare le stesse emozioni, a quelli di natura commerciale, e cioè se si tratta di qualcosa destinato a durare o è solo una bolla pronta a scoppiare e dunque se è un investimento che val la pena considerare, fino a quelli più strettamente etici, legati alla quantità enorme di elettricità necessaria a produrre gli scambi in cryptovaluta.
Di questo e molto altro abbiamo parlato con Alex Estorick, Contributing Editor per Art and Technology di Flash Art nonché columnist di numerose altre pubblicazioni, da Frieze al Financial Times. Sua la prima opera, pubblicata di recente, sull’estetica della Crypto Art.
Qual è l’estetica intrinseca della Crypto Art?
All’inizio di quest’anno, ho condotto uno studio intitolato In Search of An Aesthetics of Crypto Art, che ha analizzato tutte le 22.018 opere all’epoca elencate sul marketplace SuperRare. Analizzando i tag associati dagli artisti alle loro opere, così come quelli valutati dai collezionisti, abbiamo cercato di stabilire le priorità estetiche della comunità della crypto art. I nostri risultati principali sono stati che le forme 3D di crypto art, per esempio le GIF e le animazioni, sono le più popolari (anche se questo sembra essere particolarmente pronunciato su SuperRare); i temi futuristici, retrò e fantascientifici sono anche frequentemente esplorati e molto ambiti dai collezionisti; il clamore dei social media sembra far salire i prezzi; e la palette di colori degli NFT tende al viola, rafforzando l’idea di un’estetica radicata nella tecnostalgia. Tutto ciò suggerisce che le opere di crypto art siano più che semplici merci digitali, ma costituiscono piuttosto una nuova forma d’arte.

I singoli pezzi di cryptoart, i token non fungibili (NFT), sono almeno parzialmente responsabili dei milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica che riscaldano il pianeta, generate dalle criptovalute usate per comprarli e venderli. Alcuni artisti hanno definito gli NFT uno “schema piramidale da incubo ecologico”. Qual è la tua opinione su questo argomento?
Data l’importanza della blockchain di Ethereum per il mercato della cryptoart, prima evolve il suo meccanismo di validazione delle transazioni da proof-of-work a proof-of-stake, meglio è, dato che quest’ultimo metodo è molto più efficiente dal punto di vista energetico. Finché questo non accade, la crypto art rimarrà accoppiata ad un modello estrattivo insostenibile, che smentisce la vitalità culturale della sua comunità artistica.
La dematerializzazione, o il concetto di un futuro senza oggetti non è poi una novità, questa iterazione è però relativamente nuova. Come è vista la crypto art dal mondo dell’arte tradizionale?
Un cambiamento fondamentale prodotto dalla pandemia è stato l’appiattimento di tutti i mercati dell’arte su un unico piano digitale. Questo ha dissolto molte delle distinzioni artificiali che avevano precedentemente preservato il fascino dell’arte contemporanea come un regno separato di cultura “elitaria”. La vecchia distinzione di Adorno tra belle arti e industria culturale non è mai sembrata meno rilevante, e l’utopista che è in me spera che le NFT possano sublimare la creatività di una generazione di creativi digitali che sono stati precedentemente sottovalutati. Chiaramente l’ascesa del cripto artista alla parità del fine artist richiede che il mondo dell’arte si confronti con questa nuova realtà. Un grosso problema per la classe tradizionale di galleristi commerciali è che la blockchain, in linea di principio, permette agli artisti di aggirarli e vendere direttamente ai collezionisti. In pratica, i marketplace della crypto art sono diventati i nuovi gatekeepers, che limitano e costringono l’artista appena liberato.

La cryptoart è qui per rimanere o è solo una bolla che presto scoppierà?
Non vorrei speculare. Tuttavia, ciò che secondo me non è in discussione è la blockchain come ecosistema permanente in cui una nuova economia creativa può fiorire. Il fatto che il denaro sembri essere il mezzo primario della creatività suggerisce anche che stiamo assistendo a una nuova forma di capitalismo. D’altra parte, la crescita delle DAO (decentralised autonomous organisations, organizzazioni autonome decentralizzate) come nuove strutture aziendali egualitarie, suggerisce che c’è un futuro progressista tutto da scoprire se solo lo si vorrà.
Cosa possiamo imparare dall’esplosione di interesse per l’arte digitale generato dalla pandemia, e quanto è probabile che si torni alla normalità?
Per molto tempo mi sono battuto contro il modo in cui la presunta arte contemporanea “senza prezzo” dipenda da discorsi sull’arte senza senso, e spero che l’ascesa della crypto art destabilizzi questa vecchia formula. Tuttavia, in assenza di confini chiaramente definiti su ciò che costituisce la qualità, non sarei sorpreso se tale retorica altezzosa iniziasse ad infiltrarsi nel nuovo discorso sulla valutazione della crypto art. Quello che so è che sia la comunità contemporanea che quella della crypto art comprendono un gran numero di critici pienamente coinvolti nel garantire che la blockchain diventi uno spazio in cui estetica ed etica possono finalmente riunirsi.