Trieste Film Festival 2021: primo bilancio di un’edizione virtuale
Trieste Film Festival 2021: un’edizione lunga trentadue anni, una storia lunga venti
La trentaduesima edizione del Trieste Film Festival, rassegna cinematografica consacrata al cinema europeo centro-orientale, si è appena conclusa da poco più di una settimana. Per una decina di giorni, dal 21 al 30 gennaio, i cinefili di tutta Italia si sono riuniti virtualmente nelle loro sale private (per la maggior parte i salotti o le camere di casa propria) intorno alla piattaforma on line MYmovies, divenuta ormai una espansa sala cinematografica dal repertorio vastissimo e dalla piena disponibilità, in cui si trova sempre posto e i film sono fruibili ad ogni momento del giorno e della notte. Non sono mancati nemmeno gli eventi mondani: dalle feste di vernissage e finissage, ai dj set, dagli incontri e conferenze fino alle “degustazioni” tematiche di chef stellati. Tutto, rigorosamente, virtuale. È sterile, inutile, inflazionato dibattere sulla nostalgica bellezza della sala cinematografica e quanto ci manchi la possibilità di potersi concentrare veramente sulla visione di un film. Gli sforzi apprezzabili e necessari fatti dagli organizzatori (e dai fruitori) per mantenere viva una tradizione festivaliera lunga trentadue anni sono stati ripagati da un pubblico fedele e dalla qualità complessivamente pregevole di molti dei settanta titoli proposti, suddivisi in molteplici categorie. Dai cortometraggi ai lungometraggi, dai documentari alle sperimentazioni più ardite legate al filone “art&sound” e “off the screen” passando per il premio “Corso Salani”, il TFF ha confermato la volontà di vegliare sulla promozione, la valorizzazione e la documentazione dell’evoluzione del cinema dell’Europa orientale, senza dimenticare in questo accidentato 2021 un anniversario storicamente e culturalmente importante: lo scoppio delle guerre balcaniche che risale a esattamente venti anni fa e che si riflette, come un ingombrante spettro, in molte delle testimonianze cinematografiche presentate.
Una selezione di lungometraggi: padre, famiglia, patria
Dell’inesauribile ventaglio di offerte filmiche, la scelta è spesso fortuitamente, e in molti casi fortunatamente, ricaduta su alcuni titoli accattivanti: uno su tutti, inesorabilmente e unanimemente premiato dalla giuria, è il lungometraggio – opera prima – della regista georgiana Dea Kulumbegashvili, che con Beginning ha dato prova di un’elegante sapienza narrativa, visiva e sonora. Attraverso il racconto intimo di Yana, moglie del capo di una comunità di Testimoni di Geova impiantata nel Caucaso, la regista esplora la condizione subalterna femminile, tra volontà di affrancamento e perdita di identità.
Meno riuscito, forse, il tentativo del noto Andrej Smirnov di riproporre la freschezza della nouvelle vague in versione russa: la storia di Pierre Durand, il Francuz (francese) giunto nella Mosca degli anni Sessanta per studio e finito alla ricerca del padre disperso negli anni Trenta, sembra perdere spesso la rotta dietro una lunghezza che a volte rima con lentezza. Del tutto diversa la modernissima ricerca paterna dell’adolescente Ola, protagonista del film del polacco Piotr Domalewski, I never cry. Le peregrinazioni della giovane tra Polonia e Irlanda per riportare il feretro del padre morto in un incidente sul lavoro si trasformano in una vera e propria metafora collettiva legata alla sfera della riconciliazione con ambienti, situazioni e persone.
Anche Sweat, intrigante thriller psicologico di Magnus von Horn, svedese residente in Polonia, è degno di nota e giustamente meritevole del successo che gli è stato attribuito dalla giuria. La vita della giovane icona del fitness Sylwia Zając, tutta social, glitter e post su Instagram, è scompaginata da un evento angosciante che turba la sua esistenza. Quando il suo senso di solitudine diventa insopportabile, l’apertura emotiva manifestata su internet si trasforma in un drammatico, ma catartico, rovescio della medaglia. Divertente e commovente la commedia My morning Laughter del serbo Marko Đorđević, memore della strampalata vita del giovane Lars (Ryan Gosling) nell’ormai iconico Lars and the Real Girl.
Interessante l’esplorazione della vena paterna che sottende molti dei film presentati, in parte già citati: tra questi spicca la storia raccontata dal serbo Srdan Golubović, che nell’inequivocabile titolo Father riassume la forza e il dolore del protagonista e delle sue amare vicissitudini per ottenere il ricongiungimento di quel che rimane della sua famiglia. L’estensione etimologica del termine “padre” è confermata nei documentari riuniti sotto il concetto più ampio di famiglia e patria. Oggetto di un articolo di prossima pubblicazione, la selezione delle opere documentarie (tra cui spicca il commovente e italianissimo ritratto di Ultimina del regista Jacopo Quadri) presentate in questa edizione del Trieste Film Festival testimoniano dell’effervescenza del linguaggio cinematografico dell’Europa centro-orientale, tra insolubili contraddizioni e profonde indagini culturali e umane.