Un viaggio senza ritorno: Cruces en el desierto, un podcast sui migranti-fantasma

Il deserto di Sonora, tra evasione esotica e incubo
In questi tempi di restrizioni pandemiche, e in un rigido inverno casalingo, a volte è catartico sognare, programmare nuovi viaggi per quando tutto sarà – di nuovo – più accessibile. Uno dei tanti blog sull’argomento fornisce spunti accattivanti sul deserto di Sonora, conosciuto anche come deserto di Gila. L’autore della pagina web dice che si tratta di: “un’ecoregione desertica dell’ecozona neartica, collocata sulla parte ovest del confine tra Stati Uniti d’America e Messico. Esteso per circa 311.000 km², si tratta di uno dei deserti più roventi del Nord America, e comprende gli Stati dell’Arizona, della California e la regione messicana di Sonora, patrie delle tribù di Nativi Americani”. Dice anche che è “una meta incantevole per scoprire paesaggi mozzafiato, culture antiche e sapori irresistibili”. Consiglia poi per il viaggio un equipaggiamento semplice ma piuttosto basilare: intanto una mappa, una conoscenza delle lingue, cappello, occhiali da sole, una crema solare, e molta, molta acqua. C’è però un altro annuncio, più simile a un grido, che desta la stessa attenzione e che viene lanciato da due produttori radiofonici, Martín Cruz e Catalina May, e da un giornalista, Dennis Maxwell, e recita, in lingua spagnola, così: “Esta es la historia de nuestra miniserie sobre la crisis humanitaria que se vive en la frontera entre México y Estados Unidos. Y una advertencia, esta historia tiene testimonios fuertes”.
Non si tratta però di un avventuroso diario di viaggio dal deserto di Sonora, o non lo è nel senso turistico del termine: i protagonisti indiretti non sono lì per scoprire paesaggi mozzafiato, culture antiche e sapori irresistibili. Non hanno una mappa, sanno parlare poche lingue, non hanno un cappello, né occhiali da sole, nemmeno un campioncino di crema solare, né tantomeno una lacrima di acqua. Le lacrime sono quelle che versano nelle disperate chiamate al 911, il servizio di soccorso americano, per chiedere un intervento rapido per salvarli da una morte certa. Spesso sono soli, a volte in piccoli gruppi che presto si disperdono o rimangono indietro, per la difficoltà estrema della traversata, per la fame, per la sete, per la stanchezza, per le retate della polizia o le ferite quasi mortali dei serpenti e dei cactus. Sono i migranti-fantasma, coloro che cercano vie alternative per doppiare i confini ed entrare clandestinamente negli Stati Uniti dagli stati del sud America; confini resi sempre più inaccessibili durante l’era dell’ormai ex presidente Donald Trump, che, come rivela il New York Times, aveva quasi pensato di blindare le frontiere con un “naturale” ecosistema di alligatori e bestie feroci.

Cruces en el desierto: un emozionante viaggio sonoro e umano alla frontiera tra Messico e Stati Uniti
Il viaggio intrapreso da Maxwell e da alcuni rappresentanti di associazioni umanitarie che operano in quel territorio è raccontato in un episodio estremamente coinvolgente, Cruces en el desierto, all’interno un podcast di altrettanta eccezionale varietà, intelligenza e perspicacia, Las raras. L’episodio, da cui il titolo è mutuato, è impreziosito dalla presenza di Álvaro Enciso, ex veterano del Vietnam, ora artista prestato alla causa dei migranti. Abituato alla morte, non si è mai assuefatto all’idea che da circa venti anni, da quando cioè ha cominciato ad attraversare con frequenza questa zona desertica, abbia incontrato più di tremila cadaveri, dei quali circa la metà non identificati o identificabili. Per questo motivo, con estrema audacia e tenacia, percorre regolarmente le tappe dei migranti e pianta croci nel deserto; e, ancor più tenacemente, continua a piantarle ancora ed ancora, sempre negli stessi punti, quando ne vede scomparire qualcuna, per opera di quei “difensori della patria” che boicottano il già periglioso attraversamento dei migranti, cui negano anche le scorte d’acqua messe a disposizione in punti strategici. La storia, un’emozionante inchiesta giornalistica, ma soprattutto umana, che ripercorre la vita di Álvaro sullo sfondo di un’America totalmente lacerata e disumanamente (non solo fisicamente) desertica, è abitata da un paesaggio sonoro studiato e montato ad opera d’arte, nel quale trapela la presenza costante di queste figure di “desaparecidos”, che nessuno reclama più. Persino la barriera linguistica del podcast, per lo più in spagnolo, è facilmente sormontata da una trascrizione dell’episodio, ma soprattutto dalla sovrapposizione vocale e sonora con cui è sapientemente costruito, e che supera ogni confine e barriera.

Giustamente premiato tra le migliori produzioni dell’anno e recentemente presentato a Firenze a Lucia!, uno dei più interessanti festival internazionali sull’ascolto di produzioni radiofoniche, Cruces en el desierto permette di riflettere, attraverso un’evasione culturale e uditiva, anche sulle tragedie casalinghe: come quelli di Sonora, anche i migranti di Lipa, recentemente intrappolati nel ghiaccio bosniaco, sono i nostri migranti-fantasma.