Lolita di Vladimir Nabokov: un’esperienza estetica senza tempo

Nell’America del secondo dopoguerra uno scrittore russo naturalizzato americano, Vladimir Nabokov, scriveva Lolita, un capolavoro di immoralità della letteratura americana. Lolita è ciò che di più si scosta dalla visione puritana e tradizionalista della sessualità in voga negli anni 50 e al contempo nasconde un desiderio represso e una tendenza comune tra gli uomini americani. La sua lettura è un’esperienza estetica.
Nella finzione narrativa la storia non è che la trascrizione edulcorata del diario del signor Humbert Humbert, un noto insegnante universitario di mezza età, profondamente e patologicamente attratto dalle ragazzine molto giovani, che lui chiama ninfette. Durante un soggiorno estivo nella casa della famiglia Haze incontra la dodicenne Dolores Haze di cui si innamora così follemente da sposare la madre vedova pur di starle accanto.
Dopo la morte di questa, che nel frattempo aveva scoperto la segreta infatuazione di Humbert per sua figlia, Lolita (come lui era solito chiamarla) e Humbert intraprendono un viaggio per tutto il nord America, durante il quale inizia la loro dolorosa e controversa storia d’amore. La ninfetta, infatti, vive in una prigione di privazioni sociali: sebbene sembri all’inizio comportarsi consapevolmente in maniera voluttuosa, con il passare del tempo Humbert diventa ai suoi occhi un padre terribile e un amante morboso. Le varie vicissitudini che seguono sono solo dei piccoli passi verso la triste e solitaria fine del signor Humbert e quella sciatta e mediocre di Lolita.
Al di là della morale
Il lettore si trova di fronte a una delle più immorali trame della letteratura del Novecento, eppure nulla riesce a frenare l’ammirazione naturale per l’opera. Vladimir Nabokov è riuscito a trasformare la violenza sessuale e psicologica nei confronti di una dodicenne in una storia d’amore delicata; l’immoralità delle azioni di Humbert è nascosta dalle sue intenzioni pulite e dall’amore che prova per Lolita. La lettura integrale dell’opera lascia un senso di colpa nel lettore, un’inquietudine che nasce dalla simpatia provata per Humbert e dal profondo fastidio per il fare provocatorio e dozzinale di Lolita.
Questo senso di colpa passa soltanto se si analizza attentamente il procedimento che Nabokov utilizza per presentare i suoi personaggi: se da un lato di Humbert conosciamo passato, presente e futuro, le sue storie e le sue sofferenze, di Lolita non ci è dato sapere nulla, come se Humbert la privasse di ciò che è stata e volesse fermare il tempo e tenere Lolita non solo sempre con lui, ma anche sempre puerile. Lei prende forma nel lettore solo attraverso il filtro di Humbert (proprio come nella dinamica che lui crea nella storia). È proprio per questo quindi che il politicamente e sessualmente scorretto diviene in qualche modo accettabile nell’opera di Nabokov.
Azar Nafisi in Leggere Lolita a Teheran scrive che alla fine Nabokov fa rimpiangere al lettore gli stili di vita più banali (il matrimonio squallido di Lolita, la casa povera in cui vive, la sua routine scadente). Ed è estremamente vero. Quando cade la dinamica paradossale in cui Nabokov fa entrare il lettore, si ritorna a vedere la vicenda con uno sguardo moralista e a odiare Humbert quasi quanto lo odia Lolita nelle notti fatte di obblighi sessuali. Ed è qui che, per riprendere nuovamente Nafisi, iniziamo ad ammirare l’insubordinazione di Lolita nei confronti del suo carceriere.
Perché Lolita, perché oggi
Lolita è ormai un libro che appartiene a un altro tempo, quello di un periodo segnato da guerre, crisi e distruzione. Ma è un libro che trova un suo spazio sempre, soprattutto adesso. Proprio oggi è importante leggere Lolita, perché in un tempo in cui ogni cosa è etichettata dal senso morale comune, in cui le notizie sono bombe velocissime e in cui il sogno non ha più molto spazio, può rivelarsi importante tenere a mente il senso di colpa che l’opera di Nabokov lascia, il velo di immoralità che Lolita stende su ognuno di noi e che per una volta ci fa sentire pienamente immersi nella libertà della fiaba, quindi dell’Arte.
Riallacciandosi al finale dell’opera, nel capitolo A proposito di un romanzo intitolato “Lolita”, Vladimir Nabokov afferma che “un’opera letteraria esiste solo in quanto mi offre quella che io oso definire la beatitudine estetica, cioè la sensazione di essere in qualche modo in rapporto con altri livelli di percezione in cui l’arte costituisce la norma”. Questo lo spirito con cui leggere Lolita: l’aspirazione a superare le leggi della morale per farsi trasportare dall’esperienza estetica dell’amore tra Humbert Humbert e Lolita Haze.