Quando l’arte si fa gioco : il videogame come strumento museale
Il mondo della cultura tra isolamento e virtualità
Tra visioni on demand, podcast, talk su Zoom, stream-meeting, visite virtuali, dirette Instagram, vernissage senza pubblico (o con un pubblico comodamente seduto sul divano) i musei e, più in generale, i luoghi dedicati all’arte (dalla produzione alla contemplazione) sono costretti a subire un processo di integrale e forse irreversibile trasformazione digitale, ancora più acuito dalle continue e mutevoli norme restrittive che la pandemia impone a moltissimi governi.
Esiste però una fenditura, uno spazio interstiziale in cui le nuove – e meno nuove – tecnologie diventano un vero e proprio servizio alternativo, uno strumento di applicazione diversa che, in un momento in cui peraltro la presenza umana all’interno degli ambienti espositivi sembra attualmente minacciata e minacciosa. È il caso del gaming, ovvero del videogioco, che entra ufficialmente nel catalogo museale, per antonomasia il centro in cui si produce cultura e si sperimentano nuovi linguaggi, come nuovo elemento di comunicazione e diffusione del sapere artistico.
Il gaming: nuova forma di intrattenimento museale?
Nelle nuove strategie economiche e sociologiche legate all’audience development ed engagement, cioè la capacità di consolidare il pubblico fidelizzato e attirare nuovi “non-visitatori”, il videogioco riveste, ora più che mai, un ruolo di primaria importanza anche nei percorsi didattici legati alla mediazione museale e alla valorizzazione delle collezioni ben oltre lo spazio fisico, divenuto sempre più difficilmente accessibile. Non è un caso che la prestigiosa rivista Forbes abbia dedicato alcune colonne al fenomeno in costante crescita e la stessa associazione di categoria IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) nel rapporto annuale 2020 abbia calcolato il gettito del fatturato del videogioco superiore a quello di musica e cinema messi insieme.
Dalla declinazione museale del digital storytelling applicata alla realtà aumentata e dell’animazione hanno tratto vantaggio innumerevoli musei di tutto il pianeta. A partire, non forse casualmente, dalle istituzioni archeologiche: il tema storico nei videogiochi, a giudicare dalla mole sterminata di titoli, ha da sempre rappresentato un enorme appeal sul pubblico adulto e più giovane. Il museo greco di Eleusi ha deciso di affidare al progetto MyEleusis, finanziato anche con fondi comunitari in vista della rappresentazione di capitale europea della cultura per l’anno 2021, l’obiettivo di valorizzazione del proprio cultural heritage. Attraverso un gioco interattivo, studiato con la consulenza di esperti e ricercatori, il giocatore-visitatore esplora, contemporaneamente alle aree archeologiche dell’antica Atene, i misteri che si celano nella Via Sacra.
Sulla scia, anzi pioniere rispetto ad Atene, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (il MANN), seguito dal Marta di Taranto con il suo “gioco” Past for Future, ha inaugurato la sua stagione espositiva con un nuovo prodotto digitale. Father and Son-the game, disponibile e scaricabile su tutte le piattaforme, con una colonna sonora originale e una grafica assolutamente modernissima, diventa una sfida accattivante sin dalla sinossi citata nella pagina ufficiale: “la storia di un ragazzo che non ha mai conosciuto suo padre si trasforma in un racconto universale e senza tempo, dove passato e presente diventano teatro di scelte significative”.
Per gli appassionati di arte contemporanea, anche i grandi centri di ricerca ed espositivi come il parigino Pompidou, ed il MoMa di New York hanno non solo, come quest’ultimo, acquisito nelle loro collezioni alcuni titoli di videogame storici, ma ne hanno anche creati di nuovi per coinvolgere il loro pubblico. Con Prisme7, dal sapore vagamente rudimentale, il visitatore del museo francese si trasforma in collezionista provetto vagando tra gli spazi espositivi. Tra nuove offerte per il pubblico, orizzonti digitali e nuove professioni, le istituzioni culturali sembrano un nuovo, discusso, terreno fertile per la figura del game developer.