Nessuno può volare: quando la malattia di un figlio incontra la tenacia di una madre

La disabilità fisica e/o mentale di un qualsiasi soggetto è tematica delicata, tanto quanto necessaria da affrontare e da rendere pubblica il più possibile. Simonetta Agnello Hornby nel suo romanzo Nessuno può volare ci porta nella sua vita e nella sua esperienza con il figlio maggiore, affetto da una rara forma di sclerosi che lo ha costretto sulla sedia a rotelle.
La normalità in casa Agnello
Come in quasi i tutti i suoi libri, l’autrice ci porta dentro la sua famiglia, dentro la sua Sicilia, dentro la sua casa estiva a Mosè e il lettore viene subito travolto dagli odori descritti tipici della cucina.
Subito dopo arrivano nelle pupille di chi legge i colori raccontati nelle pagine, della natura che circonda le mura di quella casa, degli abiti che la Simonetta bambina si ricorda indossassero le sue zie, la sua mamma, sua nonna.
Quando si nasce in una famiglia come quella di Simonetta, il concetto di normalità (che è di per se stesso incredibilmente soggettivo) diventa ancora più ampio e forse quasi più corretto perché in fondo si è tutti normali, ognuno con le proprie peculiarità.
Quindi se lei da piccola incontrava il personaggio del paese che classicamente verrebbe definito obeso, lei lo definiva pesante; il cieco diventava colui che non vede tanto bene; di una persona affetta da zoppia si diceva che non camminava tanto bene e via così.
Per quanto consolante sia questa visione delle peculiarità personali, essa può rimanere inalterata in tenera età, ma si trasforma in maniera particolare quando quel concetto così blasonato di normalità tocca da vicino la propria vita in maniera improvvisa e violenta.
Giorgio e la sclerosi multipla
Ad un certo punto del romanzo, il lettore fa la conoscenza del figlio maggiore della scrittrice, Giorgio, il quale scopre di essere affetto da una rara forma di sclerosi multipla in un momento della sua vita adulta che dovrebbe portare solamente gioia: quando sta per diventare papà.
Ed è qui che la storia diventa scritta a quattro mani, dal punto di vista del figlio e dal punto di vista della mamma: il lettore rimbalza la propria lettura da un personaggio all’altro, da un punto di vista all’altro.
Non può essere facile affrontare una malattia come questa, soprattutto quando, dopo la consultazione di medici inglesi e italiani, la diagnosi è sempre la stessa: non c’è cura. Come si può dunque cercare di accettare e far accettare un destino di questo tipo, senza cadere nella trappola della autocommiserazione (che sarebbe comunque una strada tanto nociva quanto legittima)?
Il messaggio che una mamma come Simonetta cerca di fare arrivare al proprio figlio maggiore è questo: nessuno può volare. Io non posso volare e tu Giorgio non potrai più camminare. Questo non deve frenare me che non ho le ali e te che non puoi più utilizzare le tue gambe come facevi prima. C’è modo di vivere le proprie esperienze e le proprie emozioni anche se costretti su una sedia a rotelle.
Simonetta cerca dunque di far arrivare questo messaggio al figlio organizzando un viaggio che va dalla Sicilia ai parchi di Londra (la sua seconda casa) attraverso le bellezze artistiche dell’Italia. Un viaggio fisico prima di tutto (fatto di difficoltà e momenti di sconforto), ma soprattutto un peregrinare emotivo e psicologico, per permettere al figlio di “volare” dalla sua sedia con il cuore e con l’anima.