Verona celebra Giacometti con una mostra alla Gran Guardia

Non solo un’antologica ma uno sguardo allargato sul Novecento parigino grazie ai prestiti della Fondazione Maeght.
È una mostra elegante. E non poteva essere altrimenti poiché espone le sottili sculture di Alberto Giacometti, allungate verso l’alto, svettanti come le grandi abetaie della svizzera Val Bregaglia, dove nacque il 10 ottobre 1901 a Borgonovo. L’allestimento di Marco Goldin dà grande importanza all’ambiente e ai luoghi familiari, al rapporto con il fratello Diego, al dipanarsi della storia autobiografica di questo ragazzo-prodigio incerto fra il diventare pittore, scultore o chimico e divenuto il maggiore scultore del XX secolo. L’esposizione illustra il suo percorso con una trentina di sculture, una trentina di disegni e alcuni dipinti, ai quali fanno da corollario opere di artisti che si relazionarono con lui a Parigi fra i quali Matisse, Léger, Chagall, Kandinsky, Braque, Mirò, Calder.

Perno della mostra è “L’uomo che cammina”, pensiero dominante nella sua mente per tanto tempo, immagine simbolica della sua attività scultorea, declinata in piccole e grandi dimensioni. “L’Homme qui marche” si trova nel salone del Palazzo della Gran Guardia insieme con “La grande testa”, ritratto del fratello Diego, e la “Femme debout”. Quasi 3 metri di altezza, tutti e tre del 1960, sono collocati ai vertici di un immaginario triangolo che scandisce il tempo di Giacometti, un tempo non lineare ma circolare, che inizia con Diego e quindi la famiglia, si trasferisce nell’uomo che cammina, emblema del passaggio tra il regno dei vivi e il regno dei morti e arriva alla donna dove, attraverso la fecondazione, tutto può ricominciare.

Figure filiformi, scarnificate, rinsecchite nel corpo, vittime di una corrosione interiore, quasi millenario reperto archeologico e allo stesso tempo modernissima sintetizzazione di forme somatiche, volumi che non nascondono il maniacale e tormentato avvicendarsi dei polpastrelli sulla materia, affondi esacerbati da mani mai soddisfatte dell’esito finale. Alberto le creò così, evanescenti e fragili ma saldamente ancorate alla terra, con grandi piedi fusi nei massicci piedistalli che ne impediscono l’involo. Caratteristiche che si ripetono nelle nove varianti della “Donna di Venezia” esposte nella Biennale lagunare del 1956 quando Giacometti accettò di rappresentare la Francia, tutte raccolte ora a Verona.
Viveva a Parigi già dal 1922, frequentava il corso di scultura all’Académie de la Grande Chaumière, partecipava alle esposizioni dei Salon des Tuileries e nel dicembre del 1926 si trasferiva nello studio di rue Hyppolite-Maindron dove rimase tutta la vita, trascorrendo però l’estate in Val Bregaglia dove restavano i legami solidi, soprattutto quello con la madre Annetta.
Dalla metà degli anni ’20 avrà una fase surrealista, documentata in mostra dalla “Donna cucchiaio”, forma primitiva rifacentesi ai cucchiai Dan della Costa d’Avorio visti al Musée de l’homme di Parigi, dalla “Coppia”, un uomo e una donna dalle semplici forme geometriche e da “L’oggetto invisibile” del 1934, una statua femminile nuda e allucinata con le mani acconciate in modo da sorreggere un oggetto che non c’è.

Da guardare con attenzione i disegni che sono stati fin dall’inizio della sua attività il mezzo principale per comprendere e studiare il vero. Molti i volti degli amici, conoscenti, colleghi, immagini che tentano di conservarne l’interiorità sbarazzandosi di tutto il superfluo. E nei disegni ritornano le sue eteree figure costruite con un tratto discontinuo, con linee dinamiche che si sovrappongono, si spezzano, si moltiplicano.

Un fitto reticolo di linee che tratteggiano gli edifici si ritrova nel dipinto “La casa di fronte”, mentre un’essenzialità, in questo caso pittorica, primeggia ne “La maison blanche” del 1958, entrambi pennellati con una raffinata tavolozza di grigi, azzurri, bianchi.

Sulle pareti si allineano opere di alcuni artisti che con Giacometti condivisero l’avventura parigina: Chagall, Derain, Kandinsky, Léger, Mirò, Braque e alcune piccole sculture di Calder di soggetto animalesco. I 95 capolavori esposti provengono dalla Fondazione Marguerite et Aimé Maeght fondata nel 1964 a Saint-Paul-de-Vence, località a circa 20 km da Nizza, una delle maggiori sedi espositive internazionali di arte moderna e contemporanea.
La mostra Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky, capolavori della Fondazione Maeght a cura di Marco Goldin, sarà visitabile al palazzo della Gran Guardia di Verona fino al 5 aprile 2020.