Sergio Leone: Fabio Santini racconta l’uomo dietro al maestro

“Sergio Leone: Perché la vita è cinema” è il nuovo libro del giornalista e conduttore radiofonico Fabio Santini che, attraverso i racconti delle persone vicine al maestro del cinema western, ci permette di conoscere il privato di Leone, rivelandone l’aspetto più umano.
Fabio Santini coltiva una passione di lunga data per il regista a cui ha dedicato non solo il suo ultimo libro, ma anche un fortunato spettacolo teatrale.
A trent’anni dalla scomparsa del maestro, Santini pubblica un racconto che raccoglie aneddoti e fatti poco conosciuti su Sergio Leone, spaccati di vita emersi dai diari della moglie e dai ricordi dei suoi figli. A legare il tutto c’è la passione dell’autore per l’opera di Leone, un amore folgorante iniziato in un lontano pomeriggio di ottobre del ’64 quando nelle sale arrivò “Per un pugno di dollari”. «E pensare che venni trascinato di peso al cinema, i western non mi piacevano» ci racconta Santini. «Ebbi uno schock. Avevo 13 anni, entravo in piena età dello stupore, c’erano i Beatles, i Rolling Stones, Dylan, i Cream. Quel giorno capii che il western era solo l’ambientazione per parlare del teatrino della vita, era un simbolo, come simbolico è tutto il cinema di Leone».
Da questo primo incontro giovanile, Santini si ripromette di incontrare, non ufficialmente, le persone che hanno lavorato e vissuto a stretto contatto con il regista, a partire proprio dalla moglie Carla, con la quale ha sfogliato pagine di diario ricche di aneddoti memorabili. Tra questi c’è il viaggio di nozze in Spagna sul set del film Il Colosso di Rodi, l’incontro con Clint Eastwood, i retroscena del rapporto con Ennio Morricone, come la diatriba sulle musiche del duello di “Per un pugno di dollari”.
Della personalità di Sergio Leone colpisce il tratto talvolta bambinesco del “geniaccio di Cinecittà”, come lo definisce affettuosamente l’autore. Un’immagine ben lontana da quello che, in apparenza, poteva sembrare un tipo scorbutico. «Era un uomo tutt’altro che burbero. Ricordo quanto era emozionato quando combinai per lui un augurio di compleanno in diretta su Rai 2. Era il 3 gennaio del 1988, sembrava perfino imbarazzato quando gli cantammo tanti auguri. In quell’occasione parlammo della potenza dei suoi film. Già non stava molto bene ed era deluso dalla piega che il cinema aveva preso, un cinema fatto di poca introspezione e tanta post produzione».
In “Sergio Leone: Perché la vita è cinema”,Fabio Santini non trascura l’importante, seppur incompiuta, pagina riguardo il film sull’ assedio di Leningrado. Un progetto lungimirante di enorme potenzialità rimasta inespressa a causa della scomparsa del regista romano avvenuta il 30 aprile del 1989. «L’idea per un film gli venne dopo la lettura del libro di Harrison Salisbury “I 900 giorni. L’epopea dell’assedio di Leningrado”, un tomo di oltre 700 pagine pieno zeppo di date ed eventi che lo colpì profondamente. Scrisse degli appunti con i quali andò fino a Mosca per raccontare al governo e agli istituti cinematografici russi come sarebbe stato il suo film. Aveva una capacità incredibile di coinvolgere i suoi interlocutori, tanto che questi si convinsero e decisero di coprodurre il film con gli americani. Un atto potentissimo, anticipatore della Perestrojka e della caduta del muro di Berlino.

Proprio dal racconto di Leningrado inizia lo spettacolo teatrale “C’era una volta il cinema – Viaggio dietro le quinte dei film di Sergio Leone” di cui Fabio Santini è autore e voce narrante.
«Vado a ritroso utilizzando il tessuto narrativo di “C’era una volta in America” soffermandomi anche sulla corsa delle quadrighe di “Ben Hur” che pochi sanno essere stata girata da Sergio Leone, nonostante il suo nome non appaia nemmeno tra i titoli di coda! Lo stesso Charlton Eston, e come lui Stephen Boyd che interpretava Messala, mi raccontarono di quanto rimasero colpiti dalle capacità di questo ragazzo e dalla sua ricerca del dettaglio. Già allora capirono che sarebbe diventato un grande. Lo spettacolo si chiude con un elogio della nostalgia. Ritengo che i film di Sergio Leone abbiano dato corpo e spessore a questo sentimento».