I cento anni del Negroni

Un trio equivalente. Un terzo, un terzo, un terzo. Di Gin, di Campari, di Vermouth Rosso. Si prepara direttamente nel tumbler basso e si beve ovviamente on the rocks con mezza fettina d’arancio. E’ il Negroni.
Che non si sa per quale alchimia, per un secolo è riuscito a restare immutato quando tutto cambia, soprattutto i gusti degli Italiani. Invece quest’anno il famoso cocktail compie un secolo. Chapeau!
Lo inventò Camillo Negroni, nobile eccentrico nato a Firenze nel 1868 quando, dopo scorribande statunitensi, ritornò in riva all’Arno e una sera del 1919 suggerì al barman Fosco Scarselli del Caffè Casoni di via Tornabuoni di energizzare il solito Americano sostituendo il seltz con il gin. Il grado alcolico è alto ma il conte Camillo è abituato a bere strong, del resto per dieci anni ha fatto il cow boy nel Wyoming per poi trasferirsi a New York dove alterna le bevute al rilancio a poker.
Rientrato a Firenze nel 1912, prima dell’accendersi dell’antipatico Proibizionismo che vietava l’uso di alcolici, importò da oltreoceano la moda delle bevande miscelate identificate nella parola “cocktail”, impronunciabile nel periodo fascista quando fu sostituita con “bevanda arlecchina” e fortunatamente non con la traduzione letterale “coda di gallo”.
Fatto sta che il nuovo aperitivo del conte piacque agli habitué del mondano Casoni che divenuto Caffè Giacosa attirò i Fiorentini proprio per i suoi cocktail.
Il Negroni perfetto si prepara con l’originario Vermouth Carpano, quello con cui era composto quello del conte, ma poiché costa tre volte più del Martini Rosso, oggi si preferisce quest’ultimo. Dall’originale si può sconfinare nelle varianti: il Negroni Sbagliato dove lo spumante sostituisce il gin, il Bencini dove il rhum bianco, sempre invece del gin, gli dona un sapore esotico, il Negrosky dove è la vodka a subentrare al gin. Ma per questo ci vuole uno stomaco da cosacco.