Un ricordo di Giorgio Faletti a quattro anni dalla sua scomparsa

Giorgio Faletti moriva il quattro luglio del 2014 all’ospedale Molinette di Torino, presso il reparto di Radioterapia diretto dal professor Umberto Rinaldi, come veniva comunicato dalla sua agenzia di spettacoli International music and arts. Aveva scoperto di essere malato da pochi mesi e poche settimane prima era rientrato da Los Angeles, dove era andato a curarsi presso un centro specializzato contro i tumori. Aveva annullato i suoi spettacoli e sul suo sito l’ultimo messaggio che aveva scritto inizia così «Cari amici, purtroppo a volte l’età, portatrice di acciacchi, è nemica della gioia», e continuava spiegando che la sospensione forzata della sua breve tournée era dovuta a motivi di salute legati principalmente alle condizioni precarie della sua schiena, che gli impediva di sostenere la durata dello spettacolo.
In una breve lettera inviata a maggio per la conferenza stampa del festival astigiano Passepartout, di cui era presidente, le sue parole facevano intuire la serietà delle sue condizioni di salute: «Purtroppo a volte la vita ci mette molto più ingegno e molto più impegno nel mettere i bastoni fra le ruote piuttosto che nell’aiutare gli essere umani a realizzare i propri desideri. In questo momento sono all’estero, dove mi sto curando per un guaio di salute piuttosto rilevante e che spero si risolva nel migliore dei modi. Credo di potere essere a casa in tempo per la manifestazione». Faletti non ce l’aveva fatta a vincere il cancro e ad annunciarlo con un Tweet era stato il direttore de La Stampa, Mario Calabresi: «È morto Giorgio Faletti, un uomo dalle tante vite, tutte ben fatte, cabarettista, cantante, scrittore, attore». L’ultimo messaggio lasciato dallo scrittore attraverso il suo account Twitter era stato: «A volte immaginare la verità è molto peggio di sapere una brutta verità. La certezza può essere dolore. L’incertezza è pura agonia».
Sono passati ben quattro anni dalla sua scomparsa. Faletti era nato ad Asti il 25 novembre 1950, dove aveva una casa, piena di chitarre, e un’altra era all’Elba, a Capoliveri, che amava e per la quale aveva scritto una canzone, Da casa mia si vede il mare. Come amava New York, dove andava molto spesso per ascoltare musica e a volte per suonarla, anche se la sua passione per le chitarre (vintage) sospettava fosse «non corrisposta». Lui, che essendo nato Asti si definiva affetto da un briciolo di sano provincialismo e che aveva «avuto la fortuna di vivere in un luogo dove c’erano personaggi che sarebbero piaciuti a Fellini, ed erano veri», era una persona ecclettica e poliedrica: una laurea in Giurisprudenza, scrittore, attore, cantante, paroliere, compositore, sceneggiatore, pittore e comico italiano. Un uomo di spettacolo, di cultura e di estrema sensibilità. Esordisce negli anni Settanta come cabarettista al Derby di Milano, famoso locale cult della comicità faccia a faccia con il pubblico, ma arriva alla notorietà con Drive In, programma televisivo di Antonio Ricci, e il suo personaggio Vito Catozzo. Partecipa tre volte a Sanremo, arrivando secondo nel 1994 con la canzone Signor tenente, premiata dalla critica, che prende ispirazione dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. «Ho sempre sostituito la paura di non farcela più con la speranza di farcela di nuovo», parole che si leggono nel suo sito ufficiale e che rivelano questa sua natura che lavorativamente lo portava ad un continuo cambiamento. È il 2002 quando Faletti sorprende tutti con la pubblicazione del suo primo thriller Io uccido che vende più di quattro milioni di copie. Quello stesso anno è colpito da un ictus che fortunatamente non lascia gravi conseguenze. Nel 2004 esce il secondo romanzo, Niente di vero tranne gli occhi, che diventa un altro best seller. Negli ultimi tempi stava lavorando ad un nuovo thriller dal titolo provvisorio Figli di, sempre con Einaudi. Come attore aveva recitato nel 2006 in Notte prima degli esami e tre anni dopo in Baaria di Giuseppe Tornatore.
Giorgio Faletti aveva il gusto della vita anche nel quotidiano, ad esempio quando preparava un buon piatto di spaghetti, perché per lui «nessun mestiere, più del cuoco, assomiglia a quello dello scrittore. Ti bastano pochi ingredienti e la tua fantasia, ed è fatta». Pochi ingredienti e fantasia.