Molenbeek, Schilderswijk e altre no-go zones

A volte sorgono a dieci minuti a piedi dai centri città, a volte si trovano in zone periferiche, in entrambi i casi sono spesso volutamente ignorate dalle comunità locali per omertà o paura. Parliamo delle cosiddette no-go zones o no-go areas, termini utilizzati per far riferimento a quelle zone dell’Europa occidentale (ma anche altrove) dove vi sono quartieri “pericolosi”, ad accesso limitato, o persino vietato, dove neanche le forze dell’ordine si avvicinano e i cui abitanti vivono a stretto contatto con gruppi malavitosi.
Nel XXI secolo, il termine no-go zone veniva usato per parlare di aree ad aree che la polizia o gli operatori sanitari considerano troppo pericolose per entrare senza un pesante rinforzo. Questo termine è ancora molto controverso e continua a generare dibattito su quali aree siano effettivamente off-limits. Per non parlare del fatto che ad appropriarsene e integrarlo nel proprio linguaggio sono principalmente persone e politici conservatori e “di destra”, i quali sostengono che in queste zone non vigono più le leggi nazionali ma quelle della “sharia” (molto spesso in queste zone vivono persone di fede islamica), connotando così il termine con dispregiativi razzisti.
Alcuni di questi quartieri sono più conosciuti di altri e, spesso, associati a episodi di terrorismo. È il caso di Molenbeek, in Belgio. Molenbeek è un quartiere che si trova a ovest del centro di Bruxelles: si estende per poco meno di sei chilometri quadrati, è abitato da circa 100mila persone e ha una grande concentrazione di immigrati provenienti dal Nord Africa e da altri paesi arabi. A Molenbeek sono legati diversi episodi di terrorismo, come l’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles del maggio 2014, la cellula jihadista di Verviers che stava organizzando attentati in Europa smantellata nel gennaio del 2015 e l’attentato fallito sul treno francese dell’agosto 2015. A Molenbeek è collegato anche l’attacco al supermercato kosher di Parigi successivo all’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo, all’inizio di gennaio.
Anche nei Paesi Bassi sono state censite almeno 40 zone ad accesso vietato, delle quali la più celebre è Schilderswijk. Schilderswijk, localizzata a L’Aia, è stata ribattezzata dispregiativamente Sharia-wijk per la forte componente etnica turca e marocchina. Schilderswijk è nota al pubblico olandese per il possesso di un’informale polizia religiosa impegnata a far rispettare le prescrizioni islamiche agli abitanti, per aver ospitato una manifestazione a supporto dello Stato Islamico nel settembre 2014 e per le frequenti rivolte contro le forze dell’ordine – la più celebre ha avuto luogo nel 2015, ed è terminata con oltre duecento arresti, mentre la più recente è avvenuta lo scorso agosto.
In altri casi, come per esempio in Francia, queste zone più a rischio vengono definite “sensibili”, se ne contano nel Paese più di 700 e sono caratterizzate da elevati indicatori di disagio sociale e abitativo richiedenti attenzione speciale da parte delle autorità perché particolarmente permeabili al narco-banditismo e all’islam radicale. Le zone urbane sensibili in Francia sono la casa di cinque milioni di persone – ovvero circa il 7% della popolazione totale della Francia –, quasi esclusivamente di origine magrebina e subsahariana.
Situazioni simili non esistono solo in nord Europa ma anche in Spagna, in Italia e nell’Europa dell’Est. Si tratta di zone marcatamente etniche dove l’attaccamento alla tradizione d’origine e il senso d’appartenenza sviluppato nel paese in cui si vive, fortemente multiculturale, multilinguistico e cosmopolita, convivono e si sovrappongono. Se, da un lato, è confermata la pericolosità di queste aree, è anche vero che non si può parlare solo di un problema di integrazione mancata da parte delle comunità che vivono questi luoghi. Bisognerebbe risalire a monte e chiedersi chi, a questa integrazione, non si è mai interessato particolarmente. Queste periferie sociali sono spesso costrette a fare i conti con la stigmatizzazione culturale, nonché con le politiche di austerità che si iniziano lentamente a far sentire. Le fasce più deboli soffrono particolarmente la povertà, i tagli alla spesa pubblica e la gentrificazione continua che sta completamente compromettendo il tessuto urbanistico e sociale.