Salvatores al Giffoni Film Festival: “per capire la realtà non basta la ragione”

Una personalità eclettica, un professionista del cinema al quale da anni piace sperimentare, un premio Oscar che continua a sentire sempre forte la spinta a raccontare storie attreverso le emozioni e le immagini, Gabriele Salvatores ieri al Giffoni Experience ha incontrato i ragazzi del Festival e ha parlato del suo nuovo attesissimo film, Il ragazzo invisibile – Seconda generazione, in uscita il prossimo dicembre. Per Salvatores l’invisibile diventa una chiave di lettura della realtà e ai ragazzi dice: “Stiamo vivendo un momento difficile e voi avete una respoonsabilità enorme: che non vada tutto a puttane”.
“Il nostro protagonista è cresciuto -spiega Salvatores a prosito del secondo capitolo de Il ragazzo invisibile–, ha passato quella che Joseph Conrad chiamava la linea d’ombra e quando torna a giocare con gli altri ragazzi non è più lo stesso di prima. Michele dovrà portarsi dietro un grosso senso di colpa, la scoperta di una sorellina perlomeno infiammabile e un conflitto con due madri, una biologica e l’altra adottiva. Questo nuovo capitolo è un po’ più dark ma senza perdere la gioia del racconto. Il primo era più lineare, questa volta invece stilisticamente abbiamo abbandonato un po’ lo story telling per seguire di più le emozioni. Non che non si racconti una storia, anzi succede di tutto e di più, prerò quello che succede lo vediamo attraverso l’emozionalità del ragazzo. Il film ha un andamento emotivo più forte del primo. Nel primo film si raccontava la scoperta di quel potere, il secondo è molto più complicato perchè si racconta cosa fare con quel super potere. C’è lo scontro tra quelli che vengono chiamati gli speciali e i normali e questo apre tutta una serie di riflessioni anche sul nostro quotidiano. Il protagonista dovrà scegliere tra il bene il male, capire fino a che punto ci si può spingere per rivendicare i prorpi diritti e soprattuto dov’è il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il secondo film è un pochinio più complicato“.
Secondo Salvatores il concetto di invisibilità ha un significato molto importante per i nostri tempi: “Tutti noi abbiamo provato a immaginare di essee invisibili almeno una volta nella vita, o perchè nessuno ci considerava o perchè avremmo voluto nasconderci al mondo. L’invisibile è quello che la televisione o la rete non ci possono far vedere, non perchè non ne abbiano i mezzi, ma perchè rimangono solo una fotografia dlla realtà, utilissima, ma solo una fotografia. Mentre il cinema ha il grande potere, come diceva Deridda, di rievocare fantasmi cioè tirare fuori da noi qualcosa che abbiamo dentro e che non sapevamo di avere. Per questo secondo me il cinema non morirà mai, nonstante tutto“.
Con Il ragazzo invisibile – Seconda generazione Salvatores si prende la responsabilità di portare anche nel panorama cinematografico italiano l’uso delle tecnologie per calpestare il terreno di un genere poco battuto nel nostro paese, quello della fantascienza: “Da Nirvana (1996) a oggi sono cambiate molte cose –dice il regista-. L’approccio alla fantascienza è una cosa che mi viene naturale perchè ho sempre amato i racconti i fantascienza e poi credo in una cosa bella che diceva Gramsci, che non era un sognatore pazzo, ma un signore molto concreto nell’analisi della realtà, “per capire la realtà non basta la ragione” e io lo penso davvero. Credo che questo sia vero in particolar modo oggi in cui è molto difficile capire il confine tra realtà e finzione“.
“Molta tecnologia utilizzata nel film – spiega ancora il regista- ha permesso di ricreare in 3 dimensione i personaggi, gli oggetti e la sceniografia per cui alcuni attori sono veri e altri sono la loro copia digitale. Questo non è solo un giochino tecnico, queste cose cambieranno il modo di raccontare storie e di fare cinema, sperando, anzi lottando sempre perchè non si perda mai l’umanità delle persone, sia degli attori sia di chi il cinema lo fa. Oggi gli effetti speciali sono come tanti colori che uno ha a disposizione sulla propria tavolozza, però se non sai che disegno fare in bianco e nero tutti questi colori non servono“.
Il maestro poi, quasi in confidenza, aggiunge: “Alla vigilia dei settanta sto scoprendo un secondo viaggio, sto cercando di scompaginare le carte e questo film è un trip. In una delle prime scene il protagonista dice: “Faccio sempre lo stesso sogno poi mi sveglio pensando che non è vero e invece è tutto vero”. Ho voluto fare un film onirico, dark, anarchico, libero, psichedelico come un sogno pur non essendolo. Si tratta di un racconto molto più libero dalla story telling. Nel film c’è un tensione vera e un ritmo molto più serrato , più spettacolare, ma anche attento all’aspetto psicologico, introspettivo. In effetti questo è un oggetto molto particolare che ancora devo capire a fondo ma lo amo molto“.
Prima di salutare i giornalisti Salvatores ci tiene a spiegare un’ultima cosa a proposito dei geniri: “Io credo che si possa fare qualsiasi tipo di film e racontare qualsiasi tipo di storia ma non puoi dire bugie. Devi essere sincero e prenderti la responsabilità di offrire il tuo sguardo sulla realtà e raccontare quello. Wenders diceva che ogni macchina fotografica, ogni telecamera ha due obbiettivi: uno che va verso l’esterno e che ritrea ciò che c’è davanti e uno che va verso l’interno e mostra lo sguardo di chi sta riprendendo. Se tutti e due gli obbiettivi funzionano quella diventa un’opera che racconta la realtà. Bisogna prendersi la responsabilità del proprio sguardo e non seguire le mode. Il cinema non deve rimuovere le paure, al contrario“.