Berlinale 2017 | Intanto Kaurismäki conquista Berlino con la sua ironia

Berlino – Lucido e stravagante, grottesco e drammatico, come può un film finlandese alla Berlinale raccontare la tragica storia di un rifugiato siriano in modo sarcastico e divertente ma quasi edificante? La risposta sta in un regista, Aki Kaurismäki, che nel 2011 aveva incantato il pubblico con la favola ironica e toccante Miracolo a Le Havre e ieri ha presentato in concorso al Festival del Cinema di Berlino il suo ultimo straordinario film, The other side of hope.
Quello di Berlino è un Festival internazionale e l’ecletticità è la sua cifra distintiva. A stupire però non è tanto il fatto che si possa vedere nella stessa mattina un drammatico film senegalese, come Felicité, e subito dopo un più sofisticato film franco-inglese come Final portrait. Piuttosto colpisce la varietà dei registri e delle modalità narrative delle diverse storie. Così un film finlandese dalla poetica ironica e commovente come questo realizzato da Kaurismäki girato su pellicola come un lungometraggio degli anni ’70 può essere assaporato a pieno tanto per l’originalità dell’estetica quanto per il contenuto doloroso e importante come quello dei rifugiati.
La storia di The other side of hope è ambientata ai giorni nostri, ma il design un po’ vintage delle scenografie e l’effetto un po’ mesto dato dall’uso dalla pellicola a 35 millimetri portano il film ad un livello temporale quasi sospeso e nostalgico. Kaurismäki sente l’esigenza di continuare ad approfondire il discorso dei rifugiati e, dopo la delicata storia del bambino africano salvato dal lustrascarpe di Le Havre, ora racconta di Khaled (Sherwan Haji), un rifugiato siriano che sbarca clandestinamente a Helsinki su una nave da carico di carbone, e di Wikström (Sakari Kuosmanen), un commesso viaggiatore che vende cravatte e camicie da uomo e improvvisamente sceglie di cambiare vita.
“Per me che sono così pigro – ci vuole come minimo una trilogia per raccontare qualcosa. Allora ecco un secondo capitolo sui profughi, ce ne sarà un terzo e sarà una commedia” ha spiegato simpaticamente Kaurismäki in conferenza stampa.
Pochi dialoghi, spesso stranianti e apparentemente così asettici e rigidi da suscitare ilarità, questa è la cifra distintiva della sceneggiatura di Kaurismäki per raccontare una storia che non intende fare politica ma toccare la mentalità stessa degli spettatori. Perchè dietro alla bizzarra compostezza dei suoi personaggi si nasconde invece un’inaspettata umanità sensibile e accogliente. Wikström non è esattamente ciò sembra e quando la sua vita si incrocia con quella di Khaled l’esito è sorprendente fino a diventare quasi commovente per le storie di tutti e due i personaggi.
“Non voglio cambiare solo il pubblico, voglio cambiare il mondo. Beh, diciamo almeno l’Europa, almeno la Finlandia, almeno cinque o sei spettatori” scherza con il suo serio umorismo Kaurismäki.
E in effetti va detto che l’ilarità non nasconde necessariamente la tragedia della situazione dei rifugiati piuttosto la rende ancora più comprensibile in una prospettiva europea.