Richard Gere a Roma dalla parte de Gli invisibili

Quello dei senzatetto è uno dei problemi più dolorosi, sicuramente il più rifiutato da quasi tutte le società civili, mentre Richard Gere è uno dei più affascinanti e apprezzati attori di Hollywood: insieme oggi sono stati i protagonisti di un incontro particolarissimo presso i locali della mensa dei poveri della Comunità di Sant’Egidio a Roma in Trastevere per presentare l’uscita di un film indipendente e rischioso, Gli Invisibili.
Richard Gere è per tutti l’ufficiale gentiluomo un po’ gigolo che ha affascinato il mondo in tanti successi cinematografici hollywoodiani. Da parecchi anni ha scelto di dare ascolto al suo lato più solidale creando una fondazione che sostiene numerosi progetti riguardanti l’educazione sanitaria e i diritti umani, la Gere Foundation, molto impegnata nella collaborazione con Sua Santità il Dalai Lama e la comunità tibetana. Questa volta però ha investito il suo talento in un film su una terribile condizione umana che ogni giorno sta sotto gli occhi di ogni cittadino di qualsiasi metropoli del mondo, quella dei senzatetto.
Time out of Mind, scritto e diretto da Oren Moverman, è un film del 2014 audace, un’impresa più filantropica che artistica, che intende mostrare il dramma dei senzatetto nella maniera più empatica e commuovente possibile. Ne Gli Invisibili Richard Gere è George, un uomo che ha perso tutto e vaga per le strade di una New York indifferente, la sua storia consente di compiere un viaggio nell’universo duro, triste ma ricco di umanità degli homeless.
“Più lo approfondivo e più mi accorgevo che il problema degli homeless diventava parte della mia stessa esperienza” ha detto oggi alla mensa di Sant’Egidio l’attore americano rivolgendosi ad un pubblico variegato composto da volontari, senzatetto e giornalisti, che affollavano il piccolo refettorio. “A New York –ha raccontato Gere- i senzatetto sono circa 60 mila, in tutti gli USA sono più di 600 mila e anche oggi, attraversando le strade di Roma per venire qui, ho visto che ce ne sono ovunque e nessuno presta loro attenzione. È una realtà che non possiamo ignorare. O ci giriamo dall’altra parte e facciamo finta che non esistano o ci occupiamo di loro”.
Gli aspetti critici di un’opera di questo genere sono molti e Richard ha dimostrato di non averli ignorati: “Quando ho proposto questo film ad Andrea Occhipinti – ha detto l’attore- lui si è mostrato molto scettico soprattutto per quanto riguardava le scarse possibilità di guadagno su un tema del genere. L’ho convinto parlandogli della necessità di ridefinire il concetto di profitto e di cominciare a misurarlo soprattutto in base al bene che un certo progetto può portare. Da quel momento è diventato il primo distributore cinematografico socialista al mondo”.
Gere non ha sottovalutato nemmeno il contrasto che la sua immagine di attore tra i più pagati e più belli di Hollywood avrebbe suscitato nel ruolo di un senzatetto, povero, sporco e ributtante: “Che io sia tra gli attori più ricchi di Hollywood non è vero, ma è vero che sono tra i più belli – scherza Gere –. In realtà mi sono chiesto anche io quanto potessi essere credibile nel ruolo di homeless. Ho capito però che avrebbe funzionato quando il primo giorno di riprese abbiamo girato l’ultima scena, quella in cui George chiede l’elemosina per le strade del centro di New York. Quando, dopo 45 minuti di riprese, mi sono reso conto che nessuno mi notava e nessuno prestava attenzione a me, mi sono convinto che stavo andando nella giusta direzione”.
Sul finale però Gere ha un attimo di commozione quando gli viene chiesto del Dalai Lama. Di lui rispetto all’argomento dei senzatetto riesce solo a dire: “Persone così grandi come lui e come anche Papa Francesco abbracciano tutti in modo inclusivo”.
Che il momento di commozione fosse vero o meno, resta il fatto che le parole con cui Richard Gere ha scelto di cominciare il suo incontro con la comunità di Sant’Egidio per presentare Gli Invisibili hanno un proprio indiscutibile valore: “La cosa che salva le persone non è il governo ma sono le persone stesse che si prendono cura le une delle altre, persone che sanno guardarsi negli occhi, persone che vogliono ascoltare la tua storia. La connessione umana è ciò che ci salva. La connessione tra le persone al livello emozionale, psicologico e finanche fisico è ciò che guarisce l’uomo”.