Eulogy di Black Mirror parla alla nostra irresponsabilità emotiva. E lo fa molto bene.

Dopo tanti anni dal suo esordio Black Mirror non perde la sua capacità di sorprendere. Il suo pregio è riuscire a farlo in maniera del tutto inaspettata, proprio quando in molti, lamentavano la deriva narrativa ormai lontana dai “fasti” delle prime stagioni. Parliamo però di una serie tv che si evolve, così come si evolve lo spettatore. Cambiano anche le sfide del presente, i temi di dibattito e anche il tipo di sensibilità. Con questa nuova stagione ci spostiamo molto più sull’introspezione e l’emotività, lasciando di contorno il dispotismo legato alla tecnologia, nella sua forma più brutale e inquietante. Tra tutti i nuovi cinque episodi, Eulogy ne è l’esempio migliore.
Eulogy è probabilmente l’episodio migliore di tutta la nuova stagione. E no, non sto esagerando. Premettendo che l’analisi è ampiamente soggettiva, l’episodio parla direttamente alla nostra sensibilità emotiva ed empatica, condannando di fatto l’arroganza assolutistica tipica dello spiccato individualismo contemporaneo. Non solo, riesce nel finale anche ad aprire un varco di speranza e calore, atipico per Black Mirror. In Eulogy la trama è semplice: dopo la morte della sua fidanzata storica, Philip viene coinvolto da una stravagante agenzia, guidata da un intelligenza artificiale, nell’esperimento di rivivere le proprie memorie attraverso le sue fotografie. Philip accetta e comincerà un viaggio intimo e privato nei corridoi della sua vita.
Philip non riesce a ricordare il volto di Carol, l’unica donna che abbia mai amato nella sua vita. La notizia della sua morte lo lascia interdetto e lo destabilizza. Non aveva più avuto sue notizie, volutamente. Aveva tentato in tutti i modi di dimenticarla, per quindici lunghi anni, affrontando lo spettro della depressione e la dipendenza da alcol. Carol gli aveva distrutto la vita e Philp era rimasto un uomo solo, pieno di rimorsi. Sebbene inizialmente lo spettatore tenda ad empatizzare con il protagonista, man mano che Philip rivive i ricordi, iniziano a delinearsi sfumature contraddittorie al suo punto di vista.
Philip è una vittima, ma forse non così tanto vittima. Non era mai riuscito a vedere, o non voleva vedere, dei segnali evidenti di un malessere o una richiesta d’aiuto, da parte di colei che amava più di ogni altra cosa. Ma l’amore è un sentimento che rende fragili, incapaci, dubbiosi. Talvolta ciechi, spesso egoisti. Vorremmo amare come siamo amati e viceversa. E’ un fuoco che brucia ma se non alimentato bene, con sani e giusti principi, difficile da contenere. Il passo che porta dal calore alla devastazione è breve.
L’elemento subdolo, se così vogliamo chiamarlo, risiede nei piccoli dettagli. E’ dapprima qualcosa di invisibile, una vibrazione latente in qualche parola, gesto o reazione. Ma se trascurata, quella vibrazione assume intensità sempre più forti, si trasforma e nel corso del tempo diventa un groviglio estremamente complesso da slegare. La storia tra Philip e Carol in Eulogy non fa eccezione.
Philip non riesce a ricordare il volto di Carol, non è presente nei suoi ricordi. Ogni momento legato a lei, rivivendolo sotto la guida dell’intelligenza artificiale, lo porta a interrogarsi su alcuni dettagli di cui lui non aveva memoria. Perché Carol aveva un anello al dito? Perché appare di spalle? Queste e altre mille domande con cui Philip è costretto a dialogare per andare a fondo. Non solo nella storia con lei, ma con sé stesso. Ne esce un quadro sempre più sfaccettato nel quale il protagonista passa da vittima passiva ad attore attivo, incapace di comprendere le reazioni ai suoi stessi atteggiamenti.
Non è l’odio e l’amarezza verso la sua ex fidanzata ad avergli causato la perdita di memoria. Il volto di Carol è vivo dentro di lui, ma per poterlo vedere, deve fare uno sforzo. L’unico sforzo che in quindici anni si era rifiutato di fare: cambiare prospettiva. Più si va a fondo e più si comprende la complessità dei due personaggi e l’atmosfera agrodolce che accompagna la loro storia, fino al suo epilogo. Ma cos’è davvero un epilogo?
Un punto. Una linea divisoria che separa due realtà. Ma le realtà sono interpretabili così come gli eventuali sviluppi che vogliamo dare a quella divisione. Dopo un punto si può concludere una frase, un periodo, un libro. Ma immediatamente dopo, ricominciare a scrivere. Non farlo, è una scelta. Ed i motivi, possono essere i più disparati.
Metafore a parte, in una storia d’amore, a farla da padrone molto spesso è l’incapacità di mettersi nei panni altrui e la sopraffazione dell’emotività. Un tornado in grado di distruggere ogni ulteriore sviluppo dopo quella netta linea divisoria. Si passa in poco tempo alla mancanza di comunicazione e successivamente all’incomprensione. E, come nel caso di Philip e Carol, la fine di un grande amore reciproco, finito per miopia e incomprensione.
In Eulogy Philip riesce finalmente a vedere. Perdona sé stesso e di conseguenza Carol, e con il più malinconico dei sorrisi, si ritrova davanti a lei. Vede il suo sorriso, il suo amore. La sua attesa. Vede la speranza di ciò che sarebbe potuto essere, con un pizzico di coraggio in più. Un passo indietro, una riflessione. Quel poco che bastava per continuare quel romanzo e dargli un epilogo diverso.
Quando Philip riesce a vedere la verità dietro la sua storia, inizia un nuovo capitolo della sua vita. Sorride e lascia andare, può finalmente andare avanti. Darsi una possibilità. Eulogy ci mette davanti ai nostri spettri e alla mancanza di responsabilità. Il desiderio di avere senza essere disposti a dare. E questo è il più grande degli insegnamenti.