Senza Sangue, che giri fanno due vite

Nel leggere le premesse della nuova avventura da regista di Angelina Jolie si potrebbe facilmente pensare ad una storia di vendetta: una donna segnata da un evento traumatico, un uomo perseguitato dal
senso di colpa, un incontro tra i due solo apparentemente casuale. Tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, di produzione italiana e girato in una Roma maldestramente spacciata per un non
meglio precisato paese ispanico, Senza Sangue racconta la vicenda di Nina (Salma Hayek), il cui confronto con Tito (Demiàn Bichir), l’unico membro ancora in vita del commando di uomini che anni prima uccisero suo padre e suo fratello mentre lei era una bambina inerme, funge da espediente per raccontare prima le intricatissime vicende vissute da lei tra matrimoni combinati e prigionie ingiuste, poi il modo in cui queste si sono riflettute sulla vita di lui, evidenziando il legame venutosi a formare tra quelle due vite ormai divenute parallele, e poi in generale la condizione umana segnata da una violenza che si cerca fin troppo spesso di giustificare piuttosto che estinguere.
È insomma evidente il desiderio di raggiungere un qualche tipo di catarsi, una chiusura sia emotiva che fisica, il desiderio di tornare in qualche modo all’origine di quel trauma primordiale e poterlo guardare negli occhi, anche solo per dare un senso a tutto quel dolore e a quegli eventi che gli sono seguiti per un gigantesco effetto farfalla, eventi che senza quel confronto non sarebbero altro che tessere di un domino che non possiamo contrastare.
Solo subire passivamente.
Almeno questo è quello che il film avrebbe voluto far trasparire. Ma ci sarà riuscito?
Parlare di tutto e di niente
A livello prettamente strutturale sono due gli aspetti che emergono in maniera preponderante dalla visione del film: l’impostazione fortemente teatrale, con l’intera tensione drammatica costruita
prevalentemente dalla performance della coppia Hayek-Bichir all’interno di un’unica location, ma soprattutto il meccanismo dei flashback, presentissimi fin dal prologo del film, usati qui per delineare le motivazioni di un personaggio che vedremo a malapena per una scena, lì per farci guardare da una prospettiva differente qualcosa che credevamo di sapere già, e lì semplicemente per allungare in qualche modo il minutaggio.
In generale vi è un tale abuso di flashback, con tanto di inquadrature ripetute più di una volta durante il film, che non si può fare a meno di pensare che la vicenda sarebbe stata estremamente più gradevole da
vedere se questi fossero stati totalmente rimossi dal film, se questo fosse consistito esclusivamente in una conversazione tra i due attori principali seduti al tavolo, che questi ci facessero vivere le loro vicende e sensazioni soltanto tramite i dialoghi e le loro performance.
In generale Senza Sangue è un interessante riflessione sull’essere umano, sulla sua fragilità e su come certi eventi chiave ne influenzino irrimediabilmente il destino, diluita però in una vicenda troppo vaga,
ridondante, già vista e priva di colpi di scena rilevanti o di una messa in scena originale per essere anche solo ricordata a distanza di qualche ora, e soprattutto perché vi sia qualcos’altro da dire in merito.