Barbie strizza l’occhio alle battaglie sociali ma con superficialità

Con il suo product placement cinematografico, Barbie strizza l’occhio alle battaglie sociali ma senza davvero combattere per gli ideali che promuove.
“Voglio partecipare all’ideazione, non essere l’idea” dice Barbie nel nuovo film, prodotto da Mattel, l’azienda di giocattoli che produce l’iconica bambola dal 1959. Questa frase ci illude di poter fruire di una riflessione attenta e ragionata, ma ci introduce in un discorso superficialmente critico della società, che permea tutta la narrazione.
A seguito di una massiccia campagna di marketing, sia online sia offline, il film di Barbie ha incuriosito tutte le generazioni: i più grandi, affezionati alla figura rassicurante della bambola, e i più giovani, attratti dal fantastico mondo con il filtro rosa.
Indiscutibilmente il mondo fantastico di Barbie ha affascinato un po’ tutti e ha creato tanto dibattito, ma approfondiamo meglio il film diretto da Greta Gerwig.

Barbie girl in a Barbie world
Margot Robbie è la vivace protagonista che interpreta Barbie stereotipo, ossia la più canonica delle Barbie: bionda, alla moda, allegra e sempre disponibile. Lei vive a Barbieland, una realtà incantata popolata da tutte le tipologie di Barbie, dai modelli di Ken e da Alan (amico di Ken).
Ken viene descritto come un’appendice di Barbie, vive in sua funzione e non ha dei propri sogni o aspirazioni, desidera solo essere amato da Barbie. E Ryan Gosling è perfetto in questo ruolo un po’ svampito e delicato, che lo porta a recitare con disinvoltura e ad accennare coreografie sceniche con divertita vitalità.
Fin qui il racconto è calzante: gli inventori della fashion doll, ispirata allo stereotipo della donna statunitense, hanno sempre posto al centro la figura femminile, lasciando Ken sullo sfondo. Ma solo perché il giocattolo è stato pensato appositamente per essere venduto alle bambine, non di certo per una scelta politica!
Le problematicità del film arrivano piano piano.

Barbie stereotipo è “connessa” a livello spirituale con tutte le bambine che giocano o hanno giocato con lei, perciò percepisce le loro emozioni negative. Quando, però, inizia a provare un desiderio di morte e a sentirsi sempre più umana, viene costretta a varcare la soglia dell’immaginazione e ad entrare nel Mondo Reale per risolvere la situazione.
Abbasso il patriarcato
Insieme a Ken, che la segue trepidante, conosce per la prima volta tutte le sfaccettature negative della società umana: gli uomini sono sessisti, le bambine hanno difficoltà a trovare un modello da seguire e le donne si pongono standard altissimi da raggiungere. Non è il mondo che si aspettava, le donne non comandano, ma anzi sono subordinate a causa del patriarcato!
Con la parola patriarcato, presa e incollata a caso nel film, la Mattel crede di confezionare per il pubblico un prodotto di qualità che affronta tematiche importanti. Ma purtroppo non è così, perché la superficialità con cui vengono trattate questioni sociali, ad oggi molto dibattute, è quasi imbarazzante.
Probabilmente voleva essere una provocazione sbarazzina, ma non è stata accompagnata dall’originalità della trama. Quest’ultima, invece, risulta troppo eterogenea e artefatta, ricca di citazioni che non hanno nessun legame. Si cita Grease, Il mago di Oz, poi la voce narrante rompe la quarta parete per un istante, infine ci troviamo la Birkenstock sul grande schermo.
Un cocktail pop che crea confusione, non centrando mai il focus del discorso: la donna stereotipata promossa dalla Mattel.
Barbie ha contribuito a creare, nell’immaginario collettivo, dei modelli sociali statici, dei cliché che impongono alle donne di essere sempre perfette, di avere un ruolo ben definito dal proprio mestiere e di interagire solo con le altre donne. Barbie comunica solo al genere femminile, non apre un discorso agli uomini, ma li usa come oggetti d’arredo nella vita della bambola.

Perfino il discorso critico sulla ricerca della perfezione nelle donne, fatto da America Ferrera, la donna che attira Barbie nel mondo reale, stona all’interno della narrazione, perché forzato e banalizzato.
Neppure Barbie vuole essere una Barbie
Barbie non cerca di lottare per cambiare la società che si trova di fronte nella realtà, ma aggira la situazione portando Gloria (America Ferrera) e sua figlia a BarbieLand, posto magico che trova poi stravolto da un Ken maschilista.
L’atteggiamento della protagonista è proprio una metafora del proposito del film: strizzare l’occhio alle nuove battaglie sociali sul ruolo della donna nella società ma senza di fatto analizzarne la cause, lottare per un cambiamento o trovare una soluzione coerente.

La scelta più “picciona” del film la troviamo sicuramente nel finale, quando Barbie decide di andare a vivere nel Mondo Reale e di diventare una donna a tutti gli effetti, rinnegando Barbieland.
Ciò che salva il film è però la bravura degli attori e la cura maniacale adoperata nei dettagli delle scenografie e degli abiti.
Ma la difficoltà di essere una donna nella società è stata solamente sfiorata e utilizzata per pubblicizzare un marchio che non aveva certo bisogno di pubblicità!
Barbie strizza l’occhio alle battaglie sociali ma con superficialità