Triangle of Sadness: un conato di potere

Squilibrato e geniale il recentissimo film diretto da Ruben Östlund, che ha vinto la Palma d’oro al 75º Festival di Cannes.
Triangle of Sadness celebra la caduta dei ricchi, a colpi di champagne e vomito.
Miliardari e influencer si trovano su un prestigioso yacht, il noto Christina O appartenuto ad Aristotele Onassis, per godersi una crociera di lusso.
Ingollano ogni sorta di cibo gelatinoso, prendono il sole, fanno richieste assurde al team dell’equipaggio e bevono champagne.
Ma quando tutto sembra procedere in maniera capricciosa e monotona, gli agiati protagonisti iniziano a vomitare, incontrollatamente e ovunque.
Lordando le sontuose suite, la moquette e i vestiti sartoriali.

Polemica del sistema capitalistico
Una storia che umilia i super ricchi e li guarda soffrire, con un perverso piacere, come accade anche nel film The Menu. Altra pellicola, uscita di recente, in cui i benestanti personaggi vengono fatti fuori da un folle chef stellato, che vede nella distruzione del suo ristorante e dei commensali il più alto livello di ascesi gastronomica.
Ma torniamo a Triangle of Sadness, che esprime attraverso gli immondi liquidi, tracimanti dai corpi, una autentica rabbia sociale.
Il regista svedese dà vita ad un nuovo ed esilarante Titanic, grottesco e selvaggio, che non parla d’amore ma di anticapitalismo.
Vomito e feci ovunque simboleggiano il collasso delle classi più agiate, marchiandole come macchine egoistiche che altro non meritano se non questo inglorioso sfacelo.
D’altronde Östlund aveva già parlato di società, di classi sociali e del ruolo della politica in The square, sfruttando il tema dell’arte contemporanea.
Questo film, invece, parte dalla moda per snocciolare una trama interessante e molto attuale, surreale nella descrizione di alcune vicende ma molto realistica nella rappresentazione del mondo occidentale.
Travolti da un insolito destino…
I tre capitoli rappresentano la possibile evoluzione di un discorso al contrario sul potere: Carl e Yaya entra nei dettagli della relazione tra uomo e donna, Yacht pone il focus sul confronto con la collettività e Isola, infine, mostra le capacità di adattamento umano al di fuori della comfort zone.
Nel primo capitolo vengono affrontate le dinamiche all’interno di una coppia: Carl è un modello che guadagna molto meno della fidanzata Yaya (anche lei modella) e ciò lo fa sentire in una posizione di subalternità, nonché in uno stato di costante frustrazione.

È proprio in questa parte del film che si parla (per la prima e unica volta) del triangolo della tristezza, termine che si riferisce, secondo la chirurgia estetica, alla zona in mezzo agli occhi in cui si concentrano le rughe. Quelle rughe che si accentuano quando si prova rabbia, la rabbia che sopraffà Carl nel pensare che la sua ragazza sia più famosa e abbia più prospettive lavorative di lui.
Nel secondo capitolo, invece, il rapporto analizzato è quello tra i ricchi, che usufruiscono della crociera, e il personale marittimo, che si mette a completa disposizione per offrire loro servizi di ottima qualità pur di ricevere mance cospicue. Ci vengono mostrati in sequenza tutti gli stereotipi di persone potenti, dal magnate russo, allo sviluppatore informatico, passando per la coppia di ingegneri e quella di modelli. Tutti accomunati dal lusso che adorna le loro vite.
Nell’ultimo capitolo assistiamo al sovvertimento dei ruoli di potere, gli agiati passeggeri (solo i superstiti) dello yacht rimangono, dopo il naufragio, solo persone. Messe a nudo dei propri averi, su un’isola deserta, devono fare i conti con le proprie capacità e i numerosi limiti. In questa situazione precaria Abigail, l’addetta alle pulizie della crociera, si autoproclama capitano poiché è colei che sa procacciare il cibo. Il più povero cerca il riscatto e una volta ottenuto farà di tutto per non perderlo.

La guerra (fredda) di classe
In questa narrazione pungente e priva di magnanimità si scorgono due momenti particolarmente eloquenti, narrati attraverso lunghe e traballanti riprese.
Il primo riguarda il discorso politico tra il capitano dell’imbarcazione e l’oligarca russo, entrambi ubriachi, che si scontrano a colpi di citazioni storiche sul socialismo e sul capitalismo, facendo riecheggiare il loro delirio in tutta la nave, ormai allo sbando.
Il secondo, invece, è rappresentato dalla scena madre della pellicola: quando tutti i passeggeri iniziano a vomitare. Inquadrature diagonali, che ci suggeriscono un mare in tempesta, e poi liquidi sparsi, bocche stracolme di rigurgito, bagni che zampillano di escrementi, visi contriti e vagiti.
Una lotta di classe che si combatte in modo passivo: i dipendenti dello yacht sono in piedi e in ottima forma, i ricchi, invece, soffrono e si accasciano a terra in cerca di un sollievo.
Mentre in La Grande Bouffe di Marco Ferreri, i quattro protagonisti borghesi scelgono di morire abbuffandosi di cibo perché insoddisfatti di sé, qui l’élite si aggrappa con tutte le forze alla vita, sottomettendosi senza alcuna ritrosia all’inserviente pur di vedere salva la propria pelle.
Un film consigliassimo che parla di potere e soprattutto del sovvertimento di esso, voto 8.5!
Triangle of Sadness: un conato di potere