Re Granchio: la favola amara che ieri m’illuse, che oggi m’illude

Antichità che sa di contemporaneità
Re Granchio è un film del 2021 diretto da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, una favola amara che esalta la natura e l’animo umano.
Il film dalla produzione internazionale, è stato poi presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021.
Quando un lungometraggio partecipa al Festival di Cannes si sa, quasi sempre, sul sicuro!
Ci troviamo nella Tuscia del tardo ottocento, qui vive Luciano, figlio del medico locale, un ragazzo perso che si ubriaca e si trascina per il villaggio, destando grande scandalo.
È un reietto, però, è uno che non si accontenta della realtà ristretta in cui vive, è una persona che si scruta approfonditamente e che si pone dei grandi quesiti sull’esistenza.
Ama una contadina promessa ad un principe, lo stesso che vessa la comunità e contro cui Luciano si ribella per riportare la giustizia tra le persone.
Non tutto però va come sperato, così prosegue la seconda parte del film ambientata dall’altra parte del mondo, in Argentina, e incentrata sulla ricerca di un tesoro leggendario.

In queste terre desolate dove l’avidità dell’oro semina tradimento e follia, la storia del protagonista, al fianco di marinai senza scrupoli, si trasforma in un’occasione di redenzione.
Le scene sembrano dipinti ottocenteschi, luminosi e nitidi, irradiati dalla naturale luce solare e intrisi di un sentimento nostalgico. Nostalgia di un tempo passato, in cui la vita era scandita in modo lento dalle leggi della natura e in cui vivevano persone più genuine.
Tutto assume una forma armonica e dettagliata, in sintonia con la natura, dai colori caldi e vividi, che catturano lo sguardo.
Autentico sentimento
Proprio su questo sfondo, che in realtà percepiamo in primo piano, si stagliano le figure solide di Luciano ed Emma, due ragazzi autentici e passionali.
Entrambi vibrano di una vigorosa forza primigenia che si trasmette nei loro discorsi: parole d’amore e di vita che sfiorano l’infinito filosofico.
Quello che colpisce di questa storia è il fatto che abbia un sapore contemporaneo, nonostante i costumi e gli ambienti d’epoca, quello che i registi ci descrivono sembra quanto mai attuale.
Forse perché vengono sviscerate da vicino le emozioni e quelle non hanno età.

“Ti voglio bene pa” sentiamo dire da Luciano nei confronti del padre, non ce lo aspettiamo perché è una locuzione moderna, ma ne rimaniamo piacevolmente colpiti e ci facciamo cullare da questo momento di sincera dolcezza.
I dialoghi tra i personaggi sono veri e intimisti, quasi sollevati dalle rigidità ottocentesche, e fluttuano tra le campagne e i cieli tersi della Tuscia. Un luogo rurale e incantato di cui vengono rappresentate le antiche usanze folkloristiche, la dimensione del piccolo paese italiano e soprattutto i volti segnati dalla fatica e dal tempo degli uomini locali.
La vita è povera, la realtà è la natura, la lingua è il dialetto: sono tutti elementi che accomunano Re Granchio alla filmografia di Alice Rohrwacher.
E’ un film diviso in due, che i registi confezionano per dare luce a due scenari diversi, due culture diverse ma unite dal fil rouge della leggenda popolare. Che poi è ciò da cui tutto parte, l’archè del film: un gruppo di uomini, dei giorni nostri, ricorda a voce alta un racconto legato alla terra in cui vivono.
Un finale brillante che racchiude in sé tutta l’esistenza sospesa e sofferta di Luciano. Trovate anche voi?