Alice Rohrwacher, regista naïf

Alice Rohrwacher (sorella dell’attrice Alba Rohrwacher) è una cineasta poco conosciuta dai più, ma vale la pena approfondire i suoi lavori in quanto potenti strumenti comunicativi.
Classe ’80, tre film e un documentario sul curriculum: tutti presentati al Festival di Cannes, di cui due vincitori di premi importanti come quello per la miglior sceneggiatura e il Grand Prix Speciale della Giuria.
“Pochi ma buoni” come si suol dire.
La Rohrwacher è una regista naïf perché affronta tematiche dal sapore semplice e candido, indagando la vita rurale italiana e l’animo puro dei fanciulli.

Trasognato come Riccetto
Lazzaro felice è l’emblema di questa fanciullezza narrata, dell’ingenuità e del bene contrapposto al male. Lazzaro è un ragazzo semplice, ingenuo ma dal buon cuore, sempre pronto ad aiutare la sua famiglia, la quale non perde occasione per sfruttarlo nei lavori manuali.
La durezza e la povertà della vita agreste si mescola con l’elemento mistico della risurrezione.
In una realtà immaginaria, atavica e bucolica vive una famiglia allargata di contadini che è sempre in debito con la padrona dei terreni. Pur nella loro genuinità non tutti i componenti del nucleo sono benevoli come Lazzaro, che spicca per estrema purezza.
Il film si focalizza sull’aspetto rurale dell’esistenza, non mitizzandone l’essenza, ma scomponendo ogni sezione per scoprirne il positivo e il negativo. Dopo la rinascita di Lazzaro il lungometraggio prende una piega più postmoderna, intersecando presente e passato con un tono malinconico e cupo.
La regista coglie a piene mani da Pasolini, attingendo da quel mondo contadino, disincantato e semplice, che non ha tempo per sognare. Ma soprattutto Lazzaro ricorda tanto Riccetto, la creatura di Pasolini, il ragazzo autentico, sognante e amante della vita pur nella sua difficoltà.

L’essenza di Lazzaro è la stessa di Riccetto ne La sequenza del fiore di carta (episodio pasoliniano del film Amore e rabbia), quando lo vediamo percorrere le strade di Roma ignaro del male e della sofferenza che lo circondano. Dio gli parla, ma lui non ne ascolta la voce e nel frattempo vengono sovrapposte le immagini più crude della storia del primo Novecento. Riccetto balla per la strada con un grande fiore rosso in mano ma la vicenda si conclude con la morte del protagonista, colpevole di non aver saputo rinunciare alla propria innocenza per aprire gli occhi sul mondo e sugli eventi accaduti intorno a sé.
Abbrutimento e religione
Corpo celeste, invece, racconta il degrado umano e sociale di una piccola realtà di paese, in cui nemmeno lo sguardo puro di una bambina riesce a coglierne la parte buona.
Il decadimento morale degli abitanti di questo paesino calabrese è palese in ogni loro azione, nel loro fervente assoggettamento alla religione, plasmata a proprio piacimento.
La religione permea le menti, qui dove la chiesa è un punto di riferimento, ma è anche il luogo in cui l’ipocrisia si fa più netta. Marta è una bimba curiosa e intelligente, preda di un suo male di vivere, ma pur sempre una mente innocente. Tornata dalla Svizzera, dove ha vissuto per dieci anni, non ricorda nulla del suo paese d’origine e tenta di adattarsi alla nuova situazione partecipando alle lezioni di catechismo.
Ma nulla è come dovrebbe essere, nessuno accompagna i piccoli in un percorso di crescita spirituale, i quali sono invece attratti e modellati dalla cultura televisiva. Il parroco non ha cuore la sua comunità ma è soltanto un arrivista che attraverso biechi favori politici si spiana la strada per la carriera ecclesiastica; mentre la catechista è una donna aggressiva e patetica che si affida in modo cieco alle parole del vangelo senza comprenderne davvero il significato.
In questa realtà ignorante non conta la parola di dio, tanto professata, non conta la vita quando viene barbaramente sottratta a dei gattini appena nati. Questa scena violenta fa risvegliare Marta dal suo torpore, conducendola in un percorso di presa di coscienza di sé e delle sue inquietudini esistenziali.
La caduta del crocifisso in mare è la metafora della perdita di moralità dell’uomo moderno, del suo imbarbarimento e della falsità di un sentimento posticciamente devoto alla religione.
Radici di campagna
Le meraviglie, infine, riunisce i temi fondamentali dei due film analizzati: la televisione come corruzione dell’umanità e lo stile di vita rurale.

Una famiglia di apicoltori vive in un casale isolato dell’Umbria e scandisce la sua esistenza con i ritmi della natura: adeguandosi al succedersi delle stagioni delle api mellifere, dedicandosi alla cura dell’orto e all’allevamento di un gregge di pecore.
Gelsomina è la figlia maggiore, animo sensibile ma anche spirito indagatore della realtà che la circonda, soprattutto di quella realtà che esiste al di fuori del suo microcosmo.
Nemmeno le regole di un padre che cerca di preservare a tutti i costi la purezza arcaica del mondo campestre, anche quando lo sviluppo industriale impone altri criteri di produzione, riesce a trattenere Gelsomina dalla sua fame di conoscenza della società in cui sa di essere immersa.
L’incontro casuale con una troupe televisiva le farà conoscere una presentatrice di fortuna, che la porterà a sognare il luminoso mondo della tv.
I piedi sono sempre ben saldi a terra, ma il desiderio di andare oltre la comfort zone diventa una capacità meravigliosa di riscoprire il suo ambiente primigenio e di arricchirlo con una rinnovata visione del mondo.
I ritratti incantati e fanciulleschi dei tre protagonisti descritti da Alice Rohrwacher sono carichi di vitalità primordiale e sprigionano un flusso di innocente verginità.
Sembrano personaggi legati a miti antichi o alle leggende folkloristiche, dotati di una speciale incorruttibilità d’animo e per cui il legame con l’onirico diviene fondamentale per la crescita personale.
Come se per fiorire fosse necessario tendere verso l’alto, verso l’inaccessibile per poi ritornare stabile a terra e sbocciare con la consapevolezza di aver percepito l’eterno.
P.S: da vedere anche Futura, il documentario a tre mani, che indaga i sogni dei ragazzi italiani.
Alice Rohrwacher, regista naïf