En thérapie 2 su ARTE.TV: il compimento della psicanalisi
Lo psicanalista Philippe Dayan, come sempre interpretato dall’affascinante Frédéric Pierrot, è alle prese con nuove problematiche personali e nuovi pazienti da “salvare”.
Nella seconda serie di En thérapie, visibile sulla piattaforma di streaming gratuito ARTE.TV, ritroviamo il dottore in una veste diversa: sono passati cinque anni, fittizi, dalla prima serie (di cui si può leggere l’articolo qui), e in questo lustro moltissimi sono i cambiamenti che Dayan si è trovato ad affrontare. Un divorzio, quello dalla moglie; un processo, quello che lo vede responsabile etico del suicidio di un suo ex paziente; una pandemia, che ha sconvolto le vite del pianeta Terra, nonché angosciato molti dei pazienti che varcano la porta della sua casa-studio e si siedono sul suo divano per cominciare una terapia.
Un format riuscito
Il format è sempre lo stesso, fedele alla prima stagione e, più in generale, alle numerose varianti di questa fortunata serie televisiva, con una maggiore attenzione narrativa e filmica che ha coinvolto tutti i principali autori della serie, sostenuti da un determinante supporto “tecnico”: trentacinque episodi della durata media di circa trenta minuti, per sei pazienti, se si annovera tra il numero dei pazienti anche lo stesso dottor Dayan.
Anche lui, infatti, esattamente come i suoi nuovi adepti, e per un’esigenza narrativa legata agli sviluppi del processo, forse la parte meno credibile di tutta la serie, comincia una terapia con un nuovo supervisore, la psicanalista lacaniana Claire (interpretata da una meravigliosa Charlotte Gainsbourg). Tra lapsus freudiani, sogni ed incubi di un’infanzia negata quanto nebulosa, lo psichiatra e psicanalista rivela alla sua nuova terapeuta una versione totalmente inedita del suo passato.
Il compimento della psicanalisi
La seconda stagione rivela, con maggiore forza e potenza, gli enigmatici corridoi mentali che legano la vita psichica del paziente a quella del suo terapeuta, senza forzare la trama narrativa in relazioni di transfert che si spingono fino al parossismo, o a gesti estremi dei pazienti (o del terapeuta stesso). Dayan in questa seconda stagione è ancora più maturo, riflessivo, sempre meno impulsivo nel trattamento dei turbamenti dei suoi cinque, diversissimi, casi clinici.
Sullo sfondo della pandemia Covid che tuttavia (e, verrebbe da dire, fortunatamente), non prende il sopravvento, la sfilata umana dei suoi pazienti è più che mai variopinta. Di grande impatto emotivo, ed estremamente commovente, la presenza di un giovane pre-adolescente, il figlio della coppia della prima serie, lacerato dal divorzio in corso dei propri genitori, afflitto dal senso di colpa, disgustato dalle sue forme rotonde che lo rendono vittima dei bulli.
Così come, altrettanto toccante, è la presenza di una giovanissima e vitale ragazza, costretta a dover affrontare una terribile malattia, tra la paura della morte, i cambiamenti fisici, la volontà della negazione del male che la divora.
Tutto, in questa seconda serie, è stato perfettamente e millimetricamente studiato per una resa quanto più possibile verosimile di un reale lavoro analitico, sebbene un po’ accelerato. Lavoro analitico che peraltro, e forse per la prima volta, arriva al suo compimento e alla sua sublimazione ultima: quella della separazione del paziente dal suo terapeuta, indicazione tangibile del suo adempimento.