La figlia oscura e la maternità disfunzionale

Il lato oscuro dell’essere madre
La figlia oscura diretto da Maggie Gyllenhaal, uscito in Italia il 7 aprile 2022, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Elena Ferrante.
Si tratta di un esordio alla regia che riesce a scalfire lo spettatore per la sua ricerca di verità estrema.
Un racconto che parla di donne e di una tematica tanto delicata quanto viscerale e totalizzante: la maternità.
Leda è una professoressa universitaria di mezza età in vacanza in Grecia, quando incontra una giovane donna di nome Nina e sua figlia, affronta per la prima volta il suo passato inquietante. La sua ossessione per la donna e sua figlia le fa ricordare la sua prima maternità.

Leda è una donna carismatica ma si percepisce in lei un malessere interiore, qualcosa di irrisolto con sé stessa.
Nei flashback in cui ricorda tutti i momenti con le sue due figlie ripercorre i suoi stati d’animo, i pensieri e i gesti di una madre non convenzionale. Leda è una donna che ambisce ad una carriera soddisfacente, ma quando nascono le sue figlie entra in una fase depressiva che la spinge ad allontanarsi dalle piccole.
Il suo atteggiamento è distaccato e talvolta aggressivo, non empatizza con le figlie e non le ama in modo canonico, anzi è frustrata e non riesce a godere dei suoi affetti. Si dedica maggiormente al lavoro, conservando poche forze per crescere le sue piccole. Appena trova una strada alternativa abbandona la famiglia e va a vivere con un altro uomo come una donna libera, per poi tornare dopo qualche anno, quando, spinta da una forte mancanza nei confronti delle figlie, è pronta ad affrontare la maternità.
La protagonista è interpretata da Olivia Colman e nei flashback da giovane dall’attrice Jessie Buckley, entrambe sono state candidate all’Oscar per la Miglior Attrice protagonista e non protagonista. Due performance abbaglianti, misurate e tangibili.

Dakota Johnson è Nina, una madre giovanissima e anche lei affetta da una sorta di depressione che non le fa apprezzare appieno i momenti con sua figlia.
Normalizzare la realtà
«La nostra cultura ha stabilito una gamma ristretta di sentimenti che una madre può concedersi. Mi è sembrato prezioso riflettere, invece, sull’ambivalente condizione dell’essere madre, sui falsi sentimenti legati alla maternità. Quello che ha fatto è provare ad allargare lo spettro della normalità».
Così dice la regista in un’intervista sul suo primo lungometraggio, racchiudendo in poche parole tutto il senso del suo punto di vista della storia.
Viviamo in una società in cui non è concesso avere dei momenti di debolezza e in cui essere madre significa amare incondizionatamente i propri figli, ma la realtà è diversa e ogni persona ha un proprio modo di agire e reagire.
La depressione e l’infelicità possono inaridire un’esperienza meravigliosa come quella della maternità, ma non bisogna averne paura. Si può combattere contro questo mostro paralizzante e riappropriarsi di una vita serena, di un sano rapporto madre-figlio.

Leda ammette di essere una madre egoista e innaturale, per questo è dilaniata dai rimorsi e dalla paura di aver commesso uno sbaglio, ma al contempo sa che non avrebbe potuto fare di meglio perché in quel momento non era in grado di amare, ma soltanto di scappare.
«Noi donne veniamo rappresentate in modo fantasioso, ma le persone sono fatte di tante cose. Per questo credo che il film sia scomodo e rassicurante. Dentro di me ho avvertito un’ambivalenza, e spero che anche il pubblico la percepisca» prosegue Maggie Gyllenhaal, lasciando una luce in questo lato oscuro.
La normalità è contraddistinta da ciò che viviamo, non esistono situazioni ideali o usuali, esiste la realtà e tutte le emozioni che ci contraddistinguono.
La figlia oscura e la maternità disfunzionale