Lamb rielabora il tema della genitorialità

Lamb è una pellicola islandese ma è anche l’opera prima del regista Valdimar Jóhannsson, uscita il 31 marzo in Italia.
Si tratta di un film dai toni cupi e misteriosi, un thriller che sembra un horror soft.
Quando la mancanza diventa possessività
La storia ha come protagonisti due genitori che, probabilmente in seguito alla perdita del proprio bimbo, sostituiscono la figura del figlio con un animale della fattoria in cui vivono. È una femmina, si chiama Ada ed è un agnello antropomorfo, ispirato alla mitologia classica.
Il livello di possessività dei genitori, Maria e Ingvar, nei confronti della nuova arrivata raggiunge picchi altissimi. Maria, presa da un atto d’ira, uccide la madre biologica di Ada, una pecora del loro gregge.

La nebbia e il silenzio sono gli elementi principali di Lamb, fanno da sfondo ad una trama che prende ispirazione dalle favole folcloristiche islandesi, le quali hanno al centro gli animali, gli esseri mitologici e i fenomeni naturali.
I dialoghi sono scarni ed essenziali, fanno parte di una scelta volutamente stilistica e di contenuto, che punta al detto Less is more.
Tutto risulta misterioso e gelido, quasi distaccato, eccezion fatta per l’amore incondizionato e morboso che Ingvar e Maria riversano su Ada, trattandola come una bambina a tutti gli effetti.
Ma il piccolo agnello non fa parte della realtà umana e, pur provando delle emozioni e dei sentimenti, la sua natura appartiene a quella animale, dalla quale è stato strappato. Vorrebbe tornare insieme ai suoi simili, dove sicuramente si sentirebbe a suo agio, ma rimane intrappolata tra le braccia dei suoi nuovi genitori.

Questa famiglia isolata e bucolica tenta, a tutti i costi, di ricreare un nuovo nucleo felice, anche se la paura della perdita è sempre dietro l’angolo.
Una ricerca ossessiva di affetto e unione che non può essere colmata da un animale, anche se ai due protagonisti sembra la soluzione più facile.
Le scomparse possono provocare gravi scompensi a chi le subisce, per questo vanno gestite in modo adeguato, con l’aiuto degli esperti e non con dei palliativi rudimentali.
Non è un horror, ma un horror vacui
Il regista descrive la sua opera come un dramma che affronta la perdita, il dolore e l’essere genitore, non inserendo il suo film nel genere horror.

Eppure la casa di produzione è la stessa di altri prodotti dediti all’horror movie, come ad esempio Midsommar di Ari Aster, in cui un evento pastorale svedese si trasforma in un incubo sinistro quando gli abitanti del luogo rivelano la propria reale natura.
Il genere rimane indefinito, o comunque passa in secondo piano, perché l’intento di Jóhannsson era quello di creare un film arthouse. Si tratta del cinema artistico, realizzato esclusivamente per la ricerca di valori artistici ed estetici.
I film d’arte, infatti, si imperniano sull’espressività dell’autore, che conferisce una connotazione fortemente simbolica ai pensieri e ai desideri dei personaggi. Solitamente, i contenuti di questo tipo sono indipendenti, di carattere sperimentale e rivolti a un mercato di nicchia.
In questo caso, invece, Lamb è stato presentato nella sezione Un Certain Regard del 74º Festival di Cannes ed ha avuto un successo internazionale.

Lamb, contorto e mai banale, è quindi un esempio magistrale di slow cinema, dove le inquadrature sono lunghe per permettere allo spettatore di trarre qualcosa in più, anche uno sguardo sotteso.
Ecco perché le scene dove sono presenti gli animali trasmettono una forte potenza comunicativa, mentre nelle scene in cui ci sono solo gli umani ne troviamo molto meno.
Le emozioni espresse attraverso le espressioni e i gesti sono importantissime nel film, ma soprattutto è interessante il punto di vista degli animali che, talvolta, percepiscono le cose prima degli esseri umani.
L’espressione del pensiero animale non è mai stata così intima e vicina.
Lamb rielabora il tema della genitorialità