Reality, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. Un successo lungo dieci anni
Morire per davvero, vivere per finta
Non deve essere facile morire per davvero, figuriamoci per finta. Ci provano da circa un decennio, a più riprese sul palco di una spoglia scena teatrale, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, autori e performer dello spettacolo Reality (2012), per il quale Deflorian è stata insignita del prestigioso premio UBU come miglior attrice protagonista.
Il duo non è sicuramente all’asciutto o allo scoperto di premi: ogni loro spettacolo, che si trasforma in un’esperienza collettiva di grande profondità, tra reinterpretazioni e riscritture di significative opere, da Edouard Louis a Michelangelo Antonioni, da Pina Bausch a Federico Fellini, diventa soggetto e oggetto di riflessione e di meritatissimi applausi e riconoscimenti. E proprio da Pina Bausch, e in particolare dal cruciale spartiacque che ha rappresentato Café Müller, che peraltro segna indissolubilmente il debutto della coppia Deflorian e Tagliarini (Rewind, 2008), sembra partire la scenografia drammaturgica di Reality.
Reality, un successo che dura un decennio
In una disadorna e minimalista atmosfera, che piano piano si anima di oggetti particolarmente e fittivamente fondamentali, si snoda la vita, doppiamente sublimata dai due performers, di una donna polacca, dal nome, quello certo, di Janina Turek. Originaria di Cracovia, un giorno come tanti dell’anno 2000, e come prima o poi succede ad ognuno di noi, Janina muore. Sicuramente di infarto, per la strada, mentre torna a casa dalle commissioni mattutine. O forse no. Sicuramente, era stanca, sola e triste dopo una vita di sacrifici e la separazione, qualche decennio prima, dal marito. O forse no.
L’unica cosa certa di Janina Turek è la mano, meticolosa e precisa, che ha guidato per cinquant’anni consecutivi la penna, rigorosamente blu che, giorno dopo giorno, ha riempito poco meno di settecentocinquanta carnet, ritrovati dalla figlia dopo la sua scomparsa (e di cui esiste un documentario di Mariusz Szczygiel).
Gelosamente custoditi da Janina dallo sguardo curioso e morboso dei suoi cari, i carnets non hanno il sapore fanciullesco del racconto emozionale da “diario segreto”, ma sono una cronaca strettamente oggettiva e quanto più possibile asciutta della quotidianità.
Tanto che ogni evento, dalle telefonate ricevute e fatte, dai regali, agli incontri, è scrupolosamente catalogato e numerato in un maniacale ordine crescente, e archiviato in una precisa rubrica, da cui è possibile ricostruire un’esistenza intera. In cui i numeri, le date e le cifre, analiticamente decomposti e magistralmente nobilitati da Deflorian e Tagliarini, si trasformano in persone, oggetti, ricordi di Janina, e di tutti noi.
Una nuova cartografia dell’esistenza
Ironico e solo apparentemente “leggero”, di quella leggerezza di kunderiana memoria che nasconde un vissuto profondamente complesso, Reality si destreggia con giocoso dinamismo in quella fragile e imprudente frontiera della verosimiglianza, tra reale e fittizio, immaginazione e realtà; in quel labile imbroglio tra descrizione e percezione, che assomiglia un po’ alla vita.
Archiviare la propria presenza, mentre la si vive, appare come la modalità più parossisticamente vicina alla scomparsa, alla morte. Reality, attraverso il misterioso disvelamento dei diari di vita e la loro reinterpretazione, ricostruisce una nuova, commovente e universale, cartografia della ri-esistenza.