America Latina. Come i fratelli D’Innocenzo ci mostrano l’abisso dell’essere umano

Fabio e Damiano D’Innocenzo realizzano il loro terzo film, America Latina, presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Ci stupiscono questa volta con un film introspettivo, che si discosta dagli altri due (La terra dell’abbastanza e Favolacce) e diventa quasi un thriller psicologico, un viaggio nella tormentata mente umana.
America Latina scuote lo spettatore per il suo essere senza filtri: le ossessioni ci vengono mostrate attraverso gli occhi del protagonista, allucinanti e totalizzanti.
Massimo vive a Latina, è un dentista e ha una famiglia unita, composta da una moglie affettuosa e due figlie.
A parte il vizio di bere qualche birra di troppo con un suo amico, la sera dei fine settimana, è un uomo preciso.
Un giorno mentre si reca in cantina scopre una ragazzina imbavagliata e legata al centro della stanza, da questo momento in poi Massimo cercherà in tutti i modi di scoprire chi ha potuto fare una cosa del genere, proprio dentro casa sua.

Ha così inizio la vera storia, ossia il tormento che affligge l’uomo da sempre: l’incapacità di distinguere la realtà che vive dalla sua immaginazione.
Man mano che il film prosegue, ci si domanda se la bambina segregata in cantina sia reale o se sia solo una proiezione.
La verità la scopriamo alla fine, quando capiamo che qualcosa di immaginario c’è, ma è la famiglia.
Il dramma che viene raccontato si incentra sulla fragilità dell’essere umano, ognuno ha le sue debolezze e le vive quando è solo nella sua intimità, quando fa i conti il vero sé stesso.
Lontano da tutti, Massimo si interroga sulla realtà che ha attorno e comincia a dubitarne. Come sostiene Elio Germano, l’anima del film, “È una cosa che succede un po’ a tutti”.
In un cinema che mette in crisi sé stesso e la vita, si staglia un viaggio nei meandri della mente umana.
L’attore sostiene inoltre che “I social hanno portato a uno scollamento tra la rappresentazione di noi e noi stessi, quindi a una sofferenza continua” e anche a una violenza, quando le due parti non coincidono come vorremmo.
È indubbiamente vero che la ricerca di un’estetica perfetta sia aumentata con l’utilizzo di piattaforme social che hanno sovraesposto la nostra immagine, mettendoci di fronte a quella di tante altre. In una competizione costante in cui è vincente chi più si conforma ai canoni standardizzati.
Si tratta di un’effimera consolazione che porta lentamente ad una discesa agli inferi, all’assoggettarsi ad un canone prestabilito e mai naturale.

Ecco quindi il tema del doppio, tra la vita privata e la vita pubblica, tra chi siamo e chi vorremmo essere.
Nel film ci viene espresso attraverso il riflesso del protagonista, spesso ricorrente nelle scene di maggiore incertezza.
Massimo è scisso: lo vediamo tramite riflessioni che lo sfocano e lo alterano, riverberando la confusione che vive.
Questo dualismo scaturisce dal fatto che i registi siano gemelli, caratteristica che li ha portati, a loro detta, ad una sofferenza condivisa. Guardare sé stesso nell’altro porta ad una continua autoanalisi e quindi ad un tormento interiore.
Ma c’è un altro tema importante ed è l’elemento dell’acqua, determinante nel film, perché rappresenta la purezza e il torbido.
Ritorna la dualità: l’acqua come simbolo di purezza che viene poi filtrata attraverso gli avvenimenti della storia e quindi si insudicia.
La scelta di ambientare la storia a Latina non è casuale infatti, si tratta di una città bonificata, per cui l’acqua è costantemente al di sotto.
Anche se la Latina che vediamo nel film è un luogo non-luogo, come accadeva anche in Favolacce, ci troviamo nell’hinterland agro-pontino ma potremmo essere ovunque.

Fabio e Damiano D’Innocenzo rivelano di essersi ispirati a Il giardino delle vergini suicide per i costumi della moglie e delle figlie, le quali ci appaiono come fossero tre grazie. La figura della donna così aggraziata, bella e gentile ricorda quella della donna angelicata del dolce Stilnovo.
La sua immagine diventa una fonte di elevazione morale, va oltre la dimensione della realtà sensibile e si colloca in una rappresentazione allucinatoria dei desideri più profondi dell’uomo.
Il protagonista, infatti, immagina le donne della sua famiglia e le idealizza, perché ha un estremo bisogno d’affetto. Ma la sua ricerca d’amore e l’incapacità nel creare dei legami solidi generano un’allucinazione costante, la realtà e il sogno si fondono per sempre in un’ovattata paranoia.
Il nocciolo risiede nella domanda: come può essere la vita di un uomo che deve convivere con la messa in discussione di tutti i suoi valori e della percezione della sua identità?
O meglio ancora, cosa accade quando un uomo scende in cantina e trova sé stesso?
La risposta è: caos. Massimo è diviso, spaccato a metà, tra due realtà che non possono incontrarsi e questo genera suspense, regalandoci un film denso e ed esteticamente ricercato.
America Latina, secondo i registi, è la traduzione di un calvario contemporaneo, perché combina ciò che viene detto con ciò che viene sognato: intendendo il sogno come l’America e la realtà come Latina.

Questa storia ci mostra l’impossibilità per i due mondi di coesistere e ci fa sperimentare l’abisso della mente umana attraverso un lavoro cinematografico che predilige le immagini alle parole.
Un’altra fonte di ispirazione per gli autori è stata l’opera di Hopper, i suoi quadri sono ormai diventati l’emblema artistico della solitudine e dell’alienazione umana.
Il personaggio cerca di capire chi è davvero ma lo fa in solitaria, cosa che non fanno i ragazzi in La terra dell’abbastanza. Nel precedente film dei D’Innocenzo i protagonisti entrano in una spirale di violenza che li traghetta lentamente verso l’oblio, ma lo fanno inconsapevolmente. Non si domandano quali possano essere le conseguenze, non si interrogano sulla propria condizione, non hanno paura, anche se soccomberanno amaramente.
America Latina non è un film canonico perché riesce ad unire tanti elementi tra cui thriller, dramma, introspezione e orrore, con una fotografia ricercata ed erudita.
I fratelli D’Innocenzo riescono in questa operazione di analisi dell’oscurità umana, quella più difficile da immaginare.