Un eroe: il ritorno trionfale di Asghar Farhadi
Recentemente inserito nella rosa dei miglior film stranieri candidati ai Golden Globes, già premiato al Festival di Cannes e pluricandidato ad altri riconoscimenti, esce nelle sale cinematografiche Un eroe del prolifico regista iraniano Asghar Farhadi, che ritorna nella sua terra natale dopo alcuni anni e alcuni, non sempre esaltanti, progetti cinematografici intermediari.
Nella sua infinita semplicità narrativa, la storia di Rahim Soltani (interpretato da uno splendido e placido Amir Jadidi) si trasforma nel paradigma universale della contorta psicologia umana e sociale che impera nella cultura mediterranea e mediorientale. Schiacciato dai debiti contratti per un maldestro investimento, da un matrimonio fallito che gli lascia un figlio problematico, conosciamo Rahim nei suoi due giorni di permesso dal carcere, in cui è detenuto cautelativamente, in attesa della denuncia del cognato, garante dello sfortunato prestito. In quelle quarantotto ore che dovrebbero servirgli per riposare, rivedere la famiglia, stare in compagnia del suo nuovo amore clandestino, il giovane uomo sembra scivolare in una spirale drammatica che si rivela quasi più nociva della prigionia.
Una trama semplificata per un paradigma universale
La giovane compagna trova infatti fortunosamente (o sottrae) una borsa con alcune monete d’oro che potrebbero estinguere parte del debito contratto dall’uomo; Rahim decide invece di denunciare il ritrovamento, rinunciando alla sua possibilità di riscatto e facendo restituire la somma alla misteriosa proprietaria. Il gesto, salutato soprattutto dagli agenti di detenzione che cercano di insabbiare recenti casi di suicidio in carcere, viene amplificato fino al parossismo, trasformando l’uomo in eroe moderno, esemplare modello di virtù e coscienza. Rahim, inizialmente impacciato ma dal travolgente sorriso, cede alle lusinghe della televisione, delle interviste, delle associazioni caritatevoli che gli offrono aiuto, sostegno economico e una concreta possibilità di riscatto. Fino all’imminente, quanto inaspettato e desolante, rovescio della medaglia, che distrugge inesorabilmente il destino sociale e personale dell’uomo. Il mancato ritrovamento della proprietaria del denaro e le voci che cominciano a circolare sui social attraverso le varie manipolazioni e distorsioni mediatiche, fanno vacillare le certezze dei suoi sostenitori, che si trasformano nei suoi principali avversari e detrattori. E cominciano, verosimilmente, a vacillare anche le certezze dello spettatore, che per le due ore del film spera, teme, empatizza, per poi infine dubitare della buona fede e dell’integrità del personaggio.
Per un nuovo Neorealismo
Aiutato ancora dalla compagna e dalla famiglia, Rahim intraprende un patetico, quanto testardo ed estremo tentativo di redenzione pubblica: quando la medicina è peggiore del male. Eroe per un attimo e perpetuamente condannato alla sofferenza, Rahim è il personaggio perfetto di un moderno e sempiterno neorealismo, che ricorda la sfortunata vicenda di Ladri di biciclette, di cui potrebbe quasi dirsi erede putativo. Ma soprattutto, oltre alla fragilità dell’uomo, la narrazione naturale e fluida di Farhadi mette in evidenza le falle di un sistema politico, mediatico e burocratico estremamente farraginoso, dubitativo, controverso, che abusa del proprio potere screditando il valore della singola vita umana.
Tanto che il ritorno in prigione, inizialmente tanto detestata da Rahim, sembra diventare la sola e possibile via di fuga per la libertà.