House of Gucci: quando l’amore incontra il potere

La potenza bruciante dell’amore
Siamo nel lontano 1970, quando ad una festa due giovani seducenti e assetati di vita si incontrano per la prima volta: lui è Maurizio Gucci, affascinante rampollo della nota famiglia Gucci; lei invece è Patrizia Reggiani, una ragazza sensuale e alla ricerca di una sfrenata agiatezza.
È una questione di sguardi intensi ma fugaci e di poche parole, lui rimane stregato dalla bellezza di lei e lei capisce di avere un certo ascendente su di lui.
Maurizio le dice che somiglia all’avvenente attrice Liz Taylor, ma lei si sente di gran lunga superiore.

Una spocchia maturata in lei a causa del suo altalenante status sociale: è la figlia di una lavapiatti che grazie alle seconde nozze con un ricco imprenditore riesce a darle un degno sostentamento.
Ma Patrizia si sente comunque ai piedi di una montagna sociale che vuole a tutti i costi scalare, perché crede di esserne capace e soprattutto di poter arrivare in cima anche grazie alla sua sfrontata bellezza.
La chimica è palpabile tra i due giovani e in poco tempo vengono travolti dalla cieca veemenza dell’amore.
Maurizio è pazzo di Patrizia e vede in lei il riscatto per una vita normale, da vivere lontano dalla sua famiglia, la quale lo tiene legato a formali convenzioni e logoranti competizioni intestine.

Patrizia, dal canto suo, è innamorata, attratta in maniera viscerale e affascinata da questo slanciato giovanotto, proveniente da una dinastia che ha ottenuto un nome importante nel mondo del lusso e della moda.
Una passione travolgente avvolge i due giovani, ormai legati in maniera fatale, i quali decidono di sposarsi, andando anche contro il volere di Rodolfo Gucci, padre di Maurizio.
Quest’ultimo è in una fase piena ribellione e vuole emanciparsi dalla famiglia a tutti i costi, come dice rivolgendosi all’amata infatti: “Sono Gucci solo di nome”.
Nulla può ostacolare questo amore, sono rose e fiori, qualcuno direbbe, ma sarebbe più opportuno affermare: champagne e gioielli, oppure vestiti lussuosi e auto da corsa.

La trasposizione
È questo lo scenario che Ridley Scott maneggia con estrema cura per dare vita ad un film che ha generato, fin dall’inizio delle riprese, tantissima attesa: si tratta di House of Gucci.
Il regista confeziona una storia intrisa di arrivismo ma anche e soprattutto d’amore, che ha come protagonista Patrizia Reggiani alias la vedova nera, così apostrofata dai giornali dell’epoca.
È Lady Gaga la star indiscussa della pellicola, nel ruolo di Patrizia, colei che nel 1995 è stata la mandante dell’omicidio del marito Maurizio Gucci, un reato per il quale ha scontato 16 anni a San Vittore.
“Mi sono ispirata a Sophia Loren e Gina Lollobrigida” dice Lady Gaga, perfetta nelle vesti della voluttuosa bellezza italiana dall’aria arrogante.

Secondo l’attrice si è trattato di un omicidio commissionato per amore e non per brama di soldi, perché quando si sposarono Maurizio non aveva soldi e quando fu ucciso erano già divorziati.
Questo è quanto si evince anche dalla ricostruzione del film, avvolto dai toni freddi e suggellato da un movimento di camera tanto risoluto quanto elegante.
Ma passiamo agli altri protagonisti.
Adam Driver è fluido e distaccato, credibile nella parte di Maurizio, descritto da tutti come un uomo volubile, dedito alla bella vita e quindi per nulla adatto a tenere le redini di una grande azienda.

Jared Leto che interpreta Paolo Gucci, il cugino di Maurizio, è impeccabilmente simile al vero: eccentrico, bizzarro e visionario. E parla con lo stesso tono di voce e lo stesso accento inglese improbabile, come si può notare in una vecchia intervista.
Sembra quasi un inglese forzato, come lo parlerebbe un italiano che si cimenta da poco nella lingua anglofona.
D’altronde bisognava inserire una parte di italianità nei personaggi visto che il parlato in italiano, nella versione originale del film, è circoscritto ai saluti e alle promesse di matrimonio.
Dulcis in fundo troviamo Al Pacino, una presenza scenica davvero notevole, un fuoriclasse che anche alla veneranda età di 81 anni riesce a performare con vigore.
Al Pacino è Aldo Gucci, lo zio acuto e al tempo stesso indulgente di Maurizio, sarà proprio lui ad accettare per primo la coppia e ad aiutarla con il business di famiglia in America.
Nella scena dei festeggiamenti per il compleanno di Aldo assistiamo ad una vera e propria tela in movimento: corpi possenti di uomini ben vestiti giocano a rugby, divertendosi e spintonandosi.
Il tutto illuminato da una luce naturale, calda e vivida: questo è il simbolo di un’italianità elegante e amarcord.

I vestiti vintage delle principali maison italiane (e non) regalano, invece, il tocco realistico e di classe: tailleur, abiti aderenti, completi, foulard e pellicce da far girare la testa.
Ma il capo d’abbigliamento che più rimane impresso è la tutina rossa che cinge Patrizia quando si trova sulla neve di Gressoney, un mix di stile e audacia senza rivali.
Una spirale infausta
La famiglia Gucci, dunque, si lascia sedurre da Patrizia, che trascina tutti in una spirale conturbante di potere e di orgoglio.
“Avrò successo?” chiede Patrizia alla sua amica cartomante, una domanda che la perseguita da sempre e che la rende assetata di denaro, di fama ma soprattutto di sfarzo.
Patrizia è subdola, cela la sua bramosia di potere con il desiderio di riunire la famiglia Gucci: quasi come una burattinaia, guida i movimenti del marito, ormai soggiogato e assuefatto dalla sua personalità ingombrante.
È una donna che ottiene sempre quello che vuole e che quando incontra degli ostacoli fa di tutto per oltrepassarli, senza alcuno scrupolo.
Con Maurizio la carta vincente è l’erotismo, con il corpo e il sesso Patrizia riesce a raggiungere i suoi obiettivi.
Non è un caso che una scena di sesso licenzioso sia subito seguita da quella del matrimonio: attraverso la carnalità Lady Gucci riesce a costruire un legame profondo ma non così solido.

Ad un certo punto infatti assistiamo alla presa di coscienza da parte di Maurizio, che si sveglia dal torpore e capisce di colpo che Patrizia ha solo creato danni alla sua famiglia, ponendolo in contrasto con i parenti per inseguire un sogno che non era il suo: avere il controllo totale del marchio Gucci.
Si allontana dalla moglie e dalle figlie, si fidanza con una sua amica di vecchia data (Paola Franchi) e chiede il divorzio, provocando in Patrizia una furia e un’ossessione moleste.
La Reggiani è debole ora, le manca la terra da sotto i piedi e così si affida totalmente alla cartomante perché la rassicura dicendole quello che vuole sentirsi dire: “Tu sarai la regina!”.
In questo momento di poca lucidità, annebbiata dalla gelosia e dal dispiacere trama un torbido intrigo, quello di vendicarsi e di far uccidere il suo ex marito.

Buio.
Il 27 marzo del 1995 Maurizio Gucci viene assassinato in Via Palestro, fuori dallo stabile degli uffici dove erano situati gli uffici di una sua società.
Una scena che in realtà viene girata nel quartiere Coppedè di Roma e che regala un momento ad alta intensità emotiva: dall’idillio della bellezza romana si passa in modo repentino alla fugacità morte.
Luce.
“27 marzo: Paradiso” così scrive Patrizia sul suo diario ed è qui che finiscono i suoi tormenti amorosi ma inizieranno quelli giudiziari.
Il tempo scorre e ci ritroviamo direttamente in tribunale, sono passati due anni dall’omicidio, al giudice che chiama Patrizia con il suo vero cognome (ossia Reggiani) lei risponde granitica: “Può chiamarmi signora Gucci”.
Con le parole “Io t’amo è una parola che tu non dici mai” di Baby Can I Hold You Tonight, cantata da Tracy Chapman con Luciano Pavarotti e l’Orchestra Sinfonica Italiana, si chiude il film lasciando nello spettatore un senso di vuoto.
Il vuoto di un’amore che finisce e lascia dietro di sé solo distruzione, sconfitte e scandali.
Con lo stesso impeto con cui è fiorito e si è consumato nel tempo, si è annientato poi, bruciando tutto quello che aveva intorno.
Al cinema dal 16 dicembre, imperdibile!
