Il corpo e il suono al Brussels Art Film Festival
Dal Brussels Art Film Festival la gioia della ritrovata collettività
Mai come quest’anno il desiderio tattile è stato così importante e necessario, soprattutto al cinema; sia per lo spettatore, reduce da mesi e mesi di visioni distratte su uno schermo di pochi pollici, che per i cineasti, ormai esausti di sperimentare nuove metodologie di ripresa e fruizione in lockdown. Il festival belga BAFF (Brussels Art Film Festival) ha dimostrato, in questa ancor più che in altre edizioni, la necessità di vivere l’emozione e l’esperienza cinematografica d’autore nella condizione della ritrovata (e di nuovo perduta) gioia della collettività. La vocazione all’apertura, dettata dalla scelta della programmazione filmica e un’importante panoramica di documentari d’arte, ha poi sottolineato la volontà di assaporare la pienezza e la densità delle tematiche trattate, con una particolare attenzione al corpo e al suono, declinati nelle più diverse forme e interpretazioni.
La danza e la malattia: Bare e Serendipity
Corpi che danzano, che si muovono, nudi e scultorei come nel documentario Bare di Alexander Vinogradov (2020), che segue da vicino, ed è proprio il caso di dirlo, i ballerini implicati nella toccante opera Anima Ardens del coreografo belga Thierry Smits. Dal processo di creazione, al casting, ai momenti di pausa e riflessione, ai giochi provocatori sotto la doccia, fino all’emozionante giorno della première, la macchina da presa si addentra e si avventura nei meandri più reconditi dello spazio del processo costitutivo dell’arte e, soprattutto, nell’avviluppamento del corpo umano nella sua più naturale e profonda nudità.
Ma il corpo può diventare, malgrado tutto, protagonista involontario di un ospite terribile e indesiderato: è questo il caso del commovente documentario Serendipity dell’artista visuale di origini francesi Prune Nourry (2019). La condizione della serendipità consiste, per sua stessa definizione etimologica, nella “capacità di rilevare e interpretare correttamente un fenomeno occorso in modo del tutto casuale durante una ricerca scientifica orientata verso altri campi d’indagine”. Il viaggio tra arte e vita di Prune Nourry si manifesta nel pieno della sua potenza proprio nel momento di maggiore precarietà del suo corpo. Da sempre interessata, nella sua ricerca e produzione, alle tematiche relative alla fecondità, alla riproduzione, alla selezione genetica del sesso, che rimanda alle diverse interpretazioni sociali e antropologiche del femminismo, alla giovane età di trentuno anni, l’artista si ritrova, distesa su un lettino operatorio, a dover congelare i suoi propri ovociti, per preservare la sua propria riproduzione. Un cancro al seno si è infatti impossessato del suo corpo, costringendola a ripensare ed integrare profondamente il suo lavoro artistico, e la sua stessa esistenza, di una nuova significazione. Dalla mastectomia, che la rende un’amazzone, alla scelta delle protesi per la ricostruzione, dalla rasatura dei capelli alla riappropriazione della sua identità attraverso la sua scultura, Serendipity si rivela un magnifico diario terapeutico, di cui l’elemento cinematografico sembra costituire parte della cura.
Il magnifico lavoro di ricerca sonora attraverso il medium filmico è stato ampiamente esplorato in molte delle pellicole presentate al Festival. Ne sono un esempio In a silent way di Gwenaël Breës (2020), documentario che diventa un romanzo di formazione musicale, a giusto titolo entrato nel palmarès dei premiati, o il più intimista Murmur di Jan Locus e Stijn Demeulenaere (2019), alla riscoperta della parte sonora più nascosta di Bruxelles.
Il vastissimo programma, che meriterebbe sicuramente più di un approfondimento, ha dimostrato anche quest’anno la qualità del festival, attuata attraverso una selezione sensibile, accurata e perspicace delle opere cinematografiche in concorso e fuori concorso.