La scuola cattolica e la mascolinità tossica

Tratto dall’omonimo Premio Strega del 2016 di Edoardo Albinati, La scuola cattolica è ora il nuovo film di Stefano Mordini. Presentato Fuori Concorso alla 78esima Mostra del cinema di Venezia, è nelle sale dal 7 ottobre con Warner Bros. Il film narra uno dei più atroci fatti di cronaca avvenuti negli ultimi cinquant’anni: il massacro del Circeo.
La storia
Siamo nel pieno degli anni Settanta, il 1975 per la precisione e Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira sono tre ventenni della Roma bene con simpatie fasciste, retaggi di violenza e soliti compiere reati di vario genere. I primi due conoscono tramite un amico Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, rispettivamente 17 e 19 anni, con le quali trascorrono del tempo insieme tra un flirt e un corteggiamento fino a proporre loro di trascorrere un pomeriggio in una villa sul mare. L’invito è in realtà una trappola inquietante: le ragazze verranno violentate, picchiate e seviziate per 30 ore consecutive. Rosaria morirà mentre Donatella si salverà fingendosi morta.

Il background, nonché narrazione di buona parte del film, è l’educazione estremamente rigida e violenta che le famiglie dei ragazzi impongono loro, a partire dalla scuola cattolica a cui sono iscritti, un istituto religioso maschile dell’alta borghesia di Roma. Quella di cui si narra è una società brutale, maschilista e aggressiva in cui le donne non esistono se non per riprodursi e gli uomini sono padroni di tutto, anche e soprattutto del sesso femminile. Lo stesso schema si riproduce in tutte le famiglie dei protagonisti: madre invisibile, padre padrone che insieme danno vita a un’educazione finta e imposta con brutalità. La prima parte del film, che illustra l’ambiente culturale in cui si inscenano i fatti, è tuttavia poco lineare sia dal punto di vista cronologico che narrativo ed ospita un climax ascendente del racconto che culmina con la descrizione dei due giorni di delitto. Una narrazione che si perde nei molteplici personaggi, senza approfondirli effettivamente e scegliendo di segmentare il tempo del film senza un preciso scopo, anzi appesantendone il senso generale. La sceneggiatura appare però essere messa parzialmente in salvo dalla fotografia, assai suggestiva, che evoca perfettamente il clima degli anni Settanta.

Mascolinità tossica e censura
In La scuola cattolica i figli della Roma bene vengono educati al meglio per un luminoso futuro, protetti da un lato dall’istruzione e dall’altro dalle famiglie. I genitori credono che in questo modo i loro figli possano vivere lontani dal fermento che scuote i Settanta, dalle violenze di quegli anni e concentrarsi, grazie alla rigida educazione imposta, sul loro avvenire professionale seppure con qualche piccola deviazione perché, si sa, boys will be boys. Il film vuole smuovere le coscienze sopite sotto quell’ipocrisia che spesso caratterizza la società, denunciando un mondo in cui vige una mascolinità tossica che rimane tranquillamente impunita. Un intento nobile dunque, che però in Italia non può essere perseguito con spettatori minorenni, causa censura. La Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche incaricata dalla Direzione generale Cinema e audiovisivo del Ministero della Cultura ha così motivato la sua decisione: «Il Film presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda, pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano». Molte le opinioni contrarie alla censura del film ai minori di diciotto anni, la stessa età delle vittime talaltro: coprendo gli occhi ai ragazzi si proibisce loro di conoscere la verità e di ricostruire i fatti, purtroppo ancora assai attuali. Nei fatti di cronaca, durante il processo Donatella Colasanti sale al banco dei testimoni per ritrovarsi ad essere accusata di “facili costumi” dal maschilismo dominante di quell’epoca, scena estremamente attuale. La società di oggi marchia le donne che subiscono violenze invece dei loro carnefici, condanna le ragazze per come si vestono, per gli orari in cui escono, per i posti che frequentano usando parole moderate per descrivere coloro che usano loro violenza. Dietro la censura del film c’è dunque quello che negli anni si è voluto nascondere sotto il tappeto ma che è decisamente tempo di tirar fuori, anche se attraverso la brutalità degli ultimi 20 minuti della pellicola.