Un altro giro: l’alcol come atto sovversivo di libertà

Planando sull’Europa del nord, nell’algida Danimarca, troviamo un film che affronta in maniera audace e provocatoria il consumo alcolico.
Il noto regista Thomas Vinterberg pone l’attenzione sulla natura umana indagata attraverso un filtro, il consumo eccessivo di alcol, e lo estremizza fino a renderlo un atto di liberazione.
Nella scena iniziale veniamo subito introdotti in un contesto di euforia disinvolta ed ebbrezza, si vedono dei ragazzi che bevono birra e superalcolici mentre fanno delle sfide di resistenza o scorrazzano per la città.
Il bere viene associato alla gioventù e la spensieratezza, due aspetti cui si tende sempre e che sembrano avere un rapporto naturale con l’alcol.
Attraverso una regia minimalista e studiata nel dettaglio, che pone al centro i personaggi e le loro emozioni, si dipana una storia che potrebbe avere un riscontro nella realtà.
Quattro amici e insegnanti di una scuola superiore decidono di condurre uno studio qualitativo che ha come protagonisti proprio loro stessi. Rifacendosi alla teoria di uno psichiatra e filosofo norvegese Finn Skårderud, il quale sostiene che tutti devono avere una certa quantità di alcol nel sangue, i protagonisti sperimentano il consumo alcolico prima di andare a lavoro, per migliorare le proprie prestazioni professionali.
Quando viene esposta questa bizzarra teoria i colleghi si trovano al ristorante, avvolti da una buia atmosfera e illuminati quasi esclusivamente sui volti, come se il regista si fosse voluto soffermare sulle espressioni incuriosite e attonite.
Secondo il filosofo mantenere un livello alcolemico di 0,5% (equivalente a 2 bicchieri di vino più o meno) costante renderebbe le persone più rilassate, più disponibili e più sicure di sé stesse in qualsiasi occasione.
In particolar modo il protagonista, interpretato da Mads Mikkelsen nella sua rassicurante bellezza nordica, cerca di trarre giovamento da questo esperimento perché è molto insicuro quando durante le lezioni e spera di prendere più confidenza con gli alunni.
I quattro colleghi decidono così di monitorare l’incremento del successo in campo sociale e professionale, bevendo alcolici solo durante il giorno e mai la sera o nel weekend.
Imitando lo stile di vita di Hemingway, il quale utilizzava l’alcol come forma di auto-terapia per contrastare alcuni sintomi depressivi, i quattro colleghi credono di sperimentare quella che potrebbe essere una soluzione ai propri disagi esistenziali e alle difficoltà della vita.
Il risultato inizialmente sembra sorprendente perché la dialettica è più fluente ed anche la propensione allo scherzo e alla condivisone con gli studenti è maggiore. L’uso controllato di alcol permette agli uomini di avere un potere decisionale e di non ritenersi alcolizzati, ma piano piano il suo smodato li disinibisce fino a farli ritornare ragazzini, alle prese con le baldorie nei bar e gli stravizi.
In pochissimo tempo la dipendenza comincia a farsi spazio dentro di loro e le suggestive musiche classiche, che fanno da sottofondo, enfatizzano il carattere della pellicola a metà tra la tragedia e l’esuberanza.
Ogni momento diventa buono per bere, svanisce la regola del consumo soltanto durante l’orario lavorativo, perciò i quattro professori si ritrovano a bere anche a casa, di nascosto dalle famiglie.
Le problematiche, anche quelle più piccole, diventano insormontabili e vengono affogate nell’alcol.
Ecco che tutto ciò era iniziato come una ricerca spensierata, puntualmente documentata e trascritta al pc, diventa una trappola.
Tutti si accorgono del loro vizio, i conoscenti ma soprattutto i familiari che non accettano il loro nuovo stile di vita sregolato.
In questo climax di sfrenatezza si arriva al culmine quando uno di loro si uccide, a causa della depressione che lo affliggeva.
Gli amici, sopraffatti dal dolore, si rendono conto di aver contribuito con l’eccesso di alcol ad acuire i suoi tormenti interiori e sembrano vivere l’evento come in una bolla.
Sul finale però non si coglie nessuna redenzione, ma solo un inno a Bacco, il dio dell’ebbrezza: i 3 amici rimasti infatti, festeggiano il giorno degli esami di maturità bevendo.
E proprio ora si comprende il senso del film.
Il finale riprende in maniera analoga l’incipit: i ragazzi fanno bagordi, ma questa volta brindano insieme agli insegnanti, i quali hanno imparato a lasciarsi andare.
A questo punto, quasi per magia, Mads Mikkelsen si abbandona ad una danza appassionata davanti a tutti, come in uno stato catartico riesce finalmente a sentirsi libero e sicuro di sé.
Non c’è una morale, non esistono modi giusti o sbagliati di approcciarsi all’alcol, ma forse il regista vuole soltanto dirci che, se non se ne abusa, questo può aiutare a sentirsi più liberi e puri. Sgombri dalle convenzioni sociali e dagli schemi, si può trovare il proprio posto nel mondo, senza pensare alle ossessioni che spesso limitano l’essere umano.
Un inno alla vita senza moralismi, un ritorno alla natura selvaggia dell’uomo, svincolato dalle rigide norme che ruotano attorno al vivere comune.
Fonte immagini: Zentropa Entertainments (casa di produzione del film) https://zentropa.dk/druk/#group