Here for life di Andrea Luka Zimmermann, una regista da monitorare
Here for life, un documentario anomalo
Tra i recenti documentari presentati nei festival europei più in voga (non ultimo quello, più di nicchia, di Bruxelles), se ne distingue uno che sancisce anche il debutto alla regia di una intelligente, sensibile e acuta regista di origini tedesche, ma di formazione e di cuore londinese, Andrea Luka Zimmermann (con la collaborazione di Andrea Jackson). Un documentario che in realtà trasmette una vena poetica di rara e immaginifica emotività, tanto da destare l’attenzione e una lodevole critica da parte del The Guardian. Here for life rappresenta molto di più che uno spaccato di vita e un ritratto umano di dieci storie e dieci personaggi in una Londra marginale, che comprende anche i quartieri di Brixton e il mercato ittico di Billingsgate: Here for life è la lotta universale della fatica di stare al mondo, di confrontarsi e di esistere quotidianamente, nella naturale corporeità e ordinaria banalità dello scorrere dei giorni.
Un neorealismo surrealista
La vena neorealista si percepisce già nella scelta dei caratteri e dei personaggi, tutti rigorosamente non professionisti che interagiscono in maniera libera e teatrale con la macchina da presa. Nulla si conosce preventivamente di loro, ma le loro storie emergono spontaneamente anche e soprattutto attraverso gli stralunati e improbabili scambi reciproci. Così vengono messi a confronto poeti di strada, artisti, personaggi comuni, tra dialoghi sovrapposti, surreali e apparentemente assurdi, e racconti tra realtà e leggenda. Dall’infanzia perduta alla menopausa, dalle relazioni violente agli abusi sessuali, dalle tattiche di pesca e gli spunti per rubare una bicicletta, le vite ai margini si giustappongono e si intersecano, ricostruendo un nuovo ideale di società comunitaria basato sulla solidarietà, sulla resistenza e sulla speranza. Tale inverosimile spontaneità non ha però nulla di lasciato al caso: deriva infatti da una profonda conoscenza della regista del tessuto urbano e sociale – lei stessa ha sperimentato sulla sua pelle l’esperienza del public housing tra Monaco e Londra – e da una lenta e lunghissima meditazione sulla scelta dei personaggi, che ha richiesto anni di studio e di osservazione prima di accingersi a filmare. Nessuno dei due autori ha infatti imposto ai personaggi di rappresentare o rappresentarsi secondo un programma prestabilito, ma sono state create le condizioni cinematografiche ideali per permettere loro di auto-rappresentarsi con istintiva naturalezza, muovendosi in un mondo conosciuto e decretando così ciascuno il proprio ruolo. Una continuazione e un superamento, a livello di profondità filmica e soprattutto estetica, del documentario Estate: a reverie (2015), un altro poetico esperimento collettivo e antropologicamente comunitario messo a punto da Andrea Zimmermann, sempre concentrato sulle vicende che ruotano intorno al public housing nella campagna londinese.
Entrambi i film sono accomunati da un’attenzione meticolosissima alla componente musicale, uno dei veri autentici motori che muove e guida il lavoro della regista, in una sorta di commovente e tenero dramma lirico che è il vero punto naturalistico e di connessione e ri-connessione con il reale. Gli occhi pieni di generosità e benevolenza con cui l’artista guarda ai suoi personaggi riflettono una rara qualità che rende Andrea Zimmermann, e i suoi film, degni di essere seguiti e monitorati con attenzione: l’empatia.
https://www.youtube.com/watch?v=wujBqaE4ieg