Il caso del film di Lav Diaz “scomparso”
Nota sul cinema di Lav Diaz
Quando mi è stato chiesto di scrivere sul filippino Lav Diaz, ho accettato con cauto entusiasmo. Noto per la lunghezza interminabile delle sue pellicole, per gli sterminati piani sequenza che caratterizzano il suo stile filmico e per la sua multiforme bravura nell’essere praticamente l’artefice unico dei suoi film (dalla sceneggiatura alla fotografia), ho sempre coltivato un sacro terrore intellettuale, che in realtà celava una ammirazione sconfinata per colui che è indiscutibilmente il regista più innovativo e apprezzato dell’ultimo decennio. Ho deciso dunque di cominciare per The woman who left (Ang babaeng humayo) del 2016, film di quasi quattro ore in bianco e nero, incoronato con il Leone d’Oro alla 73° edizione del Festival del Cinema di Venezia, ancora inconsciente del caso “diplomatico” – ma poi così non tanto sorprendente – al quale avrei dovuto assistere per riuscire a reperire e finalmente poter visionare e godere del film.
The woman who left, le peripezie di un film introvabile
Certa che l’avrei ancora trovato sulla piattaforma telematica di Raiplay, dove il film dimorava serenamente dal marzo 2020, con grande sconcerto il film è stato prontamente rimosso dalla visione gratuita, che peraltro era stata preceduta da una altrettanto sbalorditiva decisione di non distribuirlo nelle sale cinematografiche. Comincio dunque, e con fatica, con lo streaming, pratica eticamente deplorevole ma che sembra talvolta l’unico ricovero per i malati di cinema d’essai; nulla di fatto. Provo dunque tutte le possibili varianti di noleggio: i giganti Amazon e Apple me lo impediscono perché sono europea, e l’unica versione disponibile è per i fortunati americani. Come se il cinema, notoriamente universale, avesse improvvisamente eretto barriere geopolitiche insormontabili, pur essendo disposti a pagare. Tento la strada di Mubi, Mymovies, e solo alla fine mi imbatto e cedo all’acquisto on line su Chili, sito dedicato al cinema sul quale vengono riversati spesso e volentieri i film che prima passano in Rai. Mistero svelato, mi accingo alla visione dell’opera di Diaz che poggia sulla libera interpretazione e rilettura di Dio vede quasi tutto, ma aspetta (1872), un racconto di Tolstoj, autore per eccellenza delle tragedie dell’anima e che diventa il motore ideale e privilegiato del film. La prova di resistenza fisica data dalla lunghezza inconsueta del film è ripagata da un poetico viaggio verso la materializzazione del dissidio dell’essere umano. La storia ruota intorno all’amorevole insegnante Horacia, maestra accusata ingiustamente e incarcerata trent’anni per un omicidio in realtà commesso da una rea confessa con la complicità del potente e spregiudicato ex marito di Horacia, Rodrigo.
Uscita dal carcere, la donna ritrova una famiglia pressoché mutilata, sullo sfondo terribile e veritiero di una realtà ben precisa, quella della rete dei rapimenti, in cui sembra implicato e finito il figlio Junior, ormai introvabile. La tessitura del melodramma, tra libertà e desiderio di vendetta, gioca sul filo della doppia contraddizione, in cui la donna assume una duplice identità, quella di Horacia/Renata, trasformandosi così in un binomio dell’incarnazione: è androgina, allo stesso tempo premurosa e rancorosa, placida e violenta, diurna e notturna. L’esistenza di Horacia nel corso del film, che segue un ritmo umano e quasi naturale degli eventi, attraverso accelerazioni e intervalli, assume in realtà un connotato di fatale insolutezza e immobilità, senza incarnare nessuna delle qualità che rappresenta. La vendetta finale infatti sarà compiuta da colui che personifica la duplicità della protagonista e del figlio scomparso. La sequenza finale, citazione meta-cinematografica, riecheggia la scena dei resti di Xanadu in Quarto potere, in una fissità infinita che rimanda all’insondabile mistero della vita. L’esame e l’esplorazione dell’esistenza attraverso il cinema di Diaz si materializzano in questa pellicola nell’eternizzazione dell’istante e dell’accidentalità universale che sottendono il mistero stesso dell’essenza e della presenza in un mondo ingiusto e pieno di soprusi.