EMA | Un film che divampa

Ema di Pablo Larraín è il film che ha incendiato la critica alla 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, La Biennale Cinema, e sarà finalmente disponibile nelle sale il prossimo settembre.

Della protagonista di questo film, Ema appunto, Alberto Barbera, direttore artistico della Biennale Cinema di Venezia, aveva detto: “è una donna incendiaria”, ma la metafora pirica potrebbe estendersi al film di Larraín nella sua interezza. Ema parte con piccole scintille che piano piano si uniscono e divampano in un fuoco che turba e affascina al tempo stesso.
Ema, la storia
Valparaíso, capitale dell’omonima regione cilena, Ema (Mariana Di Girolamo) è una giovane ballerina ed è la compagna di Gastón (Gael García Bernal), il direttore della compagnia per cui si esibisce. Incapace di poterle dare un figlio suo, Gastón decide insieme a Ema di adottare Polo. Tuttavia il bambino risulta essere più problematico del previsto e in seguito ad un tragico incidente causato dalla tendenza alla piromania di Polo, la coppia decide di restituirlo ai servizi sociali. Il senso di colpa verso Polo però è così forte che la coppia non regge ed Ema decide di separarsi da Gastón e di perseguire da sola i suoi obiettivi.

La trama non è esattamente il vero punto di forza del film Ema. La storia, in sé piuttosto povera, è soggiogata alla conturbante personalità della sua protagonista. Ema è una giovane donna all’apparenza fragile e instabile, ma con la sorprendente capacità di manipolare le persone e una ostinata determinazione nel raggiungere i propri obiettivi. Con estrema facilità Ema trascina i personaggi intorno a lei nel suo mondo, distorto, a tratti inquietante, ma sensuale ed eccitante. C’è un filo sottile che in Ema lega insieme il ritmo della musica reggaeton alla passione per la danza, alle voluttà sessuali, alle sue emozioni e ai suoi sentimenti, come compagna e come madre. Ema è un coacervo di perversione, passione e sentimento sincero.
In pieno stile Larraín
Con Ema Larraín compone un film seguendo a pieno il suo linguaggio narrativo. In molti hanno notato un cambiamento di stile in questa ultima opera del regista cileno, che in altri suoi eccellenti lavori (Il club, 2015; Neruda, 2016; Jackie, 2016) aveva dedicato ampio spazio alla questione politica. Tuttavia, sebbene in Ema la questione politica resti quasi del tutto assente, se si esclude qualche accenno al discutibile sistema burocratico delle adozioni in Cile, Larraín in realtà resta anche in questo film fortemente ancorato alle sue modalità di linguaggio e narrazione, quasi poetica, consueti.
Come è ormai noto la cronologia della storia per Larraín è un dettaglio del tutto trascurabile. Il suo racconto procede, in Ema come nelle altre sue opere, per salti temporali che apparentemente sembrano mischiare gli eventi, ma che in realtà seguono il filo delle impressioni e del vissuto interiore del personaggio. Le scene si susseguono ricomponendo, più che la storia, l’interiorità della protagonista, la sua crisi, le sue lotte e i suoi desideri, fino a definire un quadro sorprendentemente completo di un personaggio estremamente complesso, a tratti quasi indefinibile, ma sempre più intrigante man mano che il film procede.

Per questa ragione un film come Ema, può lasciare interdetti nella sua prima metà, ma la perseveranza nel procedere nella visione della pellicola, trascinati da una musica e da una danza che sempre, al momento giusto, riescono ricatturare l’attenzione dello spettatore, paga con uno sviluppo della storia sorprendente. La narrazione di Larraín dunque anche in Ema passa più per un linguaggio poetico, decadente e quasi maledetto, che compone i tratti del personaggio, che non per un racconto nel senso classico del termine.
Un film che è un canto perverso ad una donna
È Ema il vero centro del film. Mariana Di Girolamo, attrice e ballerina cilena perlopiù sconosciuta all’estero, sostiene il ruolo di Ema, sia fisicamente che al livello di interpretazione, con abilità straordinaria. Sebbene non si riesca mai a provare davvero empatia per il suo personaggio, la sua figura riesce a catturare anche lo spettatore, quasi a manipolarlo in una direzione che consente una completa sospensione del giudizio su di lei e che lascia solo spazio alla fascinazione, fino circa alla fine.