ISLE OF DOGS | La politica incantata dall’animazione

Wes Anderson, il regista che ci ha sorpreso con fiabe bizzarre, folli e trascinanti come Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (Moonrise Kingdom, 2012) o Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel, 2014), torna a stupire il suo pubblico con una storia narrata in stop motion, L’isola dei cani (Isle of Dogs). Meno favola di Fantastic Mr. Fox (2009), il suo film ha aperto il 68. Festival del Cinema di Berlino.
Per i suoi temi, politicamente e cinematograficamente più sofisticati, gli ha fatto guadagnare l’Orso d’argento per la miglior regia e non sono da escludere altri premi prestigiosi come Oscar e Golden Globe.
Quello de L’Isola dei cani è un modo capovolto, ma sempre coerente nell’universo ormai creato dalle opere di Anderson. ll rovescio, questa volta rappresentato dal mondo canino, mostra l’aspetto più umano della realtà, mentre quello umano, perlopiù fatto di macchiettistici personaggi giapponesi, svela il lato più detestabile della società. Non a caso solo i cani parlano una lingua comprensibile al grande pubblico e per la versione originale le loro splendide voci sono affidate ad un elenco di grandi attori sorprendentemente lungo: Bryan Cranston, Edward Norton, Liev Schreiber, Bill Murray, Jeff Goldblum, Bob Balaban, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, F. Murray Abraham, Greta Gerwig, Frances McDormand, Yōko Ono.
Giappone 2037. In una ipotetica futura deriva della società giapponese, sospesa tra passato recente e futuro possibile, L’isola dei cani racconta la dolce epopea del dodicenne Atari Kobayashi, nipote del sindaco di Megasaki City, Kobayashi. Quando a causa di una contagiosa influenza canina, il governo decide di mandare in esilio tutti i cani della città in una vasta discarica chiamata Trash Island, Atari parte da solo nel suo Junior-Turbo Prop alla ricerca del suo amato cane da guardia Spots. Da solo attraversa il fiume e atterra ferito sull’isola dei cani. Con l’aiuto di un branco di nuovi amici, inizia un viaggio epico e commuovente.
Chief, Rex, Boss, Duke, King, Spots, Nutmeg, Jupiter e il cane oracolo sono i sorprendenti protagonisti di questo viaggio. Di loro stupisce e colpisce più di tutto la straordinaria caratterizzazione. Ciascuno di loro è dotato di un’umanità profonda a cui la sovrabbondante immaginazione di Anderson aggiunge colore e spessore.
Ricerca scientifica contro paura irrazionale, umanità (canina) contro interessi economici e politici, integrazione contro chiusura, tecnologia contro ambiente: sono i temi che prendono la forma di un racconto ne L’Isola dei cani. Anderson dipinge un panorama sociale parallelo si fa perfetta allegoria delle questioni più delicate legate a questi tempi al livello internazionale.
Nel complesso L’Isola dei Cani è forse uno tra i lavori del regista Anderson che meno riesce a catturare l’empatia del pubblico, lasciando il coinvolgimento dello spettatore ad un livello un po’ superficiale. Il grande pregio di questa storia però sta tutto nella sorpresa continua, allucinata e al tempo stesso logica, che riesce a suscitare. Perché è la serietà dei temi che Anderson si è spinto a toccare in un film di animazione, in cui i protagonisti sono un gruppo di cani e un bambino, che lasciano fondamentalmente basiti. Anderson è riuscito a immettere una profonda e coerente analisi sull’attuale stato politico, ambientale e sociologico al livello mondiale in una storia che ha tutto il sapore di una fiaba moderna per bambini.Di fronte ad una tale impresa le lacune al livello emozionale sono del tutto trascurabili.