Biglietto solo andata: Hervè Guibert
Un viaggio: avere un virus o una malattia mortale che ha scelto di vivere nel tuo corpo è paragonabile a prendere un treno controvoglia, già sai che viaggerai scomodo, dannatamente in ritardo con la vita e allo stesso tempo fottutamente in anticipo di non sai quanto con la morte.
Per Hervè Guibert quel treno si chiama HIV, falciatrice instancabile di vite… così stronza da colpire spesso durante l’unione tra due corpi, dove la carne è debole e le frequenze cardiache battono a BPM alternati… così meschina da creare si una spaccatura tra contagiato e resto della società ma allo stesso tempo da consolidare la rassegnata solidarietà tra gli infetti… così fredda e spietata da rendere pericoloso anche un bacio d’addio al tuo amato in letto di morte.
Con l’AIDS il biglietto lo fai in compagnia ma al capolinea ci arrivi solo come un cane.
Il 26 dicembre del 1988, Hervè Guibert decide di iniziare un libro che sarà il suo piccolo diario di viaggio: All’amico che non mi ha salvato la vita, disponibile in Italia per GOG Edizioni.
Per iniziare un libro il giorno dopo Natale devi avere un ottimo rapporto con la solitudine ma se come Guibert porti in corpo un virus come l’HIV tu con la solitudine ci vivi tutti i giorni e che sia il 26 dicembre o il 6 aprile ti cambia poco, ti cambia nulla, francamente te ne freghi, tanto non sai quanto ti resta quindi vivi e scrivi senza guardare il calendario ed ogni fermata del treno è solo un controllo alla clessidra della vita, è solo un prelievo del sangue per capire quanto manca alla fermata finale.
Se per Wolf “il sangue muta in un torrente di fuoco” magari come forza che arde, per Guibert quel sangue prelevato ad ogni analisi all’interno di strutture francesi dove fatichi ad incrociare lo sguardo di un altro condannato a morte quasi certa, dove l’aria pesa tanto da chinarti la testa verso il pavimento quasi ad aiutarti al non averlo quello scambio di sguardi, ecco per lo scrittore francese quel sangue è l’unica cosa che può mutarela velocità del treno verso il capolinea: ogni test con pessimi risultati è una fermata in meno verso la fine…una tacca in meno al calendario dell’esistenza.
Guibert, amante e amico di Foucault, quel Foucault che nel libro prende il nome di Muzil ed è proprio la “fermata” con il filosofo francese ad evidenziare tra i due un rapporto così intimo, così sensibilmente intelligente che solo due menti e cuori come loro due potevano avere.
All’amico che non mi ha salvato la vita sono quasi duecento pagine di scrittura tanto diretta quanto romantica, c’è sofferenza e morte battezzata da amore e solidarietà…il viaggio della vita verso la morte è un percorso in galleria, il sole entra poche volte dagli spiragli ma quando entra rischiara gli occhi della speranza.
All’amico che non mi ha salvato la vita è la storia di chi al testa a testa con la morte ad attenderlo ci arriva già morto dentro ma con l’idea di beffarla con un suicido per mano di due boccette di digitalina, morire per propria scelta, morire da uomo libero.
Non tutte le idee si trasformano in azione, il coraggio premia qualche volta, la codardia punisce quasi sempre…praticamente cieco morì quattro anni dopo la diagnosi, quattro anni di viaggio sono troppi per un capolinea che non doveva arrivare a trentasei anni.