L’arte del raccontare: Hyst
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Ciao Hyst e benvenuto a Fiori Di Cemento. Illustratore, rapper, lavori nel cinema ed in teatro…praticamente un artista con la A maiuscola, complimenti! Come nasce l’amore per queste quattro professioni?
Sono anche più di 4. ma la realtà è che per me sono raggruppabili nell’unica costante della mia vita.
L’arte di raccontare. Quale sia lo strumento del caso. Quello che so fare è osservare/comprendere/tradurre
e in più innato una sorta di “metodo” di apprendimento. Imparo rapidamente a fare le cose e trasferisco la mia identità artistica nelle diverse discipline. Di fatto sono proprio lo stereotipo di un giapponese con in più l’estro italiano.
Parliamo di rap: personalmente ti seguo dai tempi di AltoEnt, ci racconti il tuo percorso da allora fino a Blue-Nox?
Ho continuato a fare musica nei tempi e nei modi in cui ho voluto e oggi sono qui. Dove sono? Beh sono esattamente dove tu mi percepisci, e sono in un posto diverso per ogni elemento del pubblico che mi osserva. Io so dov’è Taiyo l’uomo. So qual’è la mia casa e la mia famiglia. Ma il percorso e la posizione di un’artista è determinata dalla percezione collettiva del pubblico.
Se non erro sei sulla scena dal 1999, avrai tanti ricordi legati al rap, uno che ti è rimasto impresso?
Sulla scena o “nella” scena? Sono SULLA scena da bambino, da quando mi misero su un palco per fare il “figlio di un samurai” ad un festival di teatro, e dovevo solo stare fermo e zitto ed ascoltare mio “padre” che mi raccontava una poesia, sotto la luna. Sono bravissimo a stare fermo e ascoltare.
Sono NELLA scena HipHop dal 97/98 dagli anni del liceo in cui mi sono avvicinato prima al Writing e poi al Rap e gli episodi sono innumerevoli. Nella mia HipHop story ci sono magie, successi, fallimenti, morti.
Sottolineare un evento sarebbe sminuire gli altri.
Spostiamoci sul teatro, un episodio particolare di questa tua esperienza?
Anche qui l’elenco è lungo. L’ultima tournèe che ho fatto era per una produzione in cui ho lavorato con le gemelle Kessler. Alice ed Hellen. Due professioniste di un’era precedente. Un tempo in cui anche solo per fare avanspettacolo la preparazione, la disciplina, l’umanità richiesta era di un livello superiore alla media di oggi. La loro autoironia e la loro costanza è incantevole. L’assurdità è che in loro sembra naturale perchè sono creature leggendarie, ma oggi non si trova nessuno che tenti di emulare queste qualità, come se fossero semplicemente irraggiungibili. La gente oggi si accontenta di essere mediocre, nessuno aspira a diventare leggenda.
Hai avuto modo di lavorare anche al Globe Theatre di Roma, com’è andata?
Bene. Quasi sempre pieno, in ogni produzione a cui ho partecipato. E non certo per merito mio.
Sono molto legato alla regista con cui ho lavorato al Globe, Loredana Scaramella. È un amica e una maestra, anche lei con una preparazione e una dedizione esemplare al mestiere. Una gioia del fare, una capacità di circondarsi di talenti, una voglia di donare al pubblico. Il teatro in poche parole.
Torniamo al rap e passiamo a qualche domanda di rito: hai la possibilità di scegliere un rapper con cui fare un featuring, chi sceglieresti?
Ovvio Kendrick.
E se non dovessi scegliere un rapper?
Fiona Apple
Qualche settimana fa ho posto la stessa domanda a tuo fratello Jesto, ora tocca a te: un lato positivo ed uno negativo di Jesto.
Non sono molto oggettivo su mio fratello. Ho una sorta di adorazione per lui.
I suoi lati negativi sono quelli che lo rendono suscettibile alle brutture del mondo, la sua sensibilità, il suo acume, la sua necessità di bellezza. E non sono difetti in quanto nuociono a me direttamente, ma sono difetti perchè lui ne soffre e io vorrei che non soffrisse mai. Ma quelle sono esattamente le stesse caratteristiche che lo rendono l’artista e la persona che è, quindi dargli una connotazione positiva o negativa è stupido.
Da settembre sei fuori con “Mantra”, raccontaci qualcosa di quest’ultimo lavoro e magari un accenno a qualche progetto futuro.
Il “MANTRA” è la formula magica, la parola ripetuta che si addensa e diventa realtà. Il mondo di oggi è pieno di MANTRA di ogni tipo. Forza Juve, fuori gli immigrati, politici corrotti, scopare!..
L’era dei social media ha reso ogni parola ancora più ripetibile, con un cancelletto prima il MANTRA diventa TREND e viceversa. E così le parole vorticano e si trasformano in realtà. In odio razziale, in mediocrità, in puzza e fango. Il mio modo di combattere è creare testi in cui non esistano parole basse o concetti vergognosi. Le parolacce possono essere combinate in modo lirico, il sesso può diventare animalità primigenia, la lotta può diventare eroismo. L’obbiettivo è essere semplice, quasi elementare, ma mai basso. Un’illusione di banalità che viene consumata come un fast food, nel grande centro commerciale del Rap italiano, ma che in realtà è fatto tutto con prodotti Bio, a kilometro zero dall’anima.
Sono consapevole dei limiti commerciali che un’operazione del genere comporta. Ma me ne strafotto.
Ho la spocchia dell’artista.
Per il futuro ho diversi spunti e sono indeciso su quale portare avanti. A volte mi viene voglia di giocare nel campetto dei rapper a fare le rime, a volte di isolarmi con la chitarra in mezzo a un bosco, a volte di trovarmi con una band e fare del jazz. Vediamo quale tendenza si concretizzerà per prima.
Ultima domanda, cambiamo totalmente argomento e parliamo di sport: hai praticato il sanda, come ti sei avvicinato a questo sport e cosa ti ha lasciato.
Sanda è stata solo l’ultima disciplina marziale che ho praticato. Le arti marziali sono una passione di tutta la vita, e ho attraversato molte discipline.
L’approccio è totale, fisico/mentale/spirituale. L’arte marziale è una colonna portante della mia esistenza, ed è sempre la prima metafora che mi viene in mente per spiegare qualsiasi dinamica umana, poiché il combattimento è di per se la metafora assoluta di qualsiasi conflitto. Sia interiore che esteriore.
La mia donna non lo sopporta, quando discutiamo e io devo spiegare una cosa sa che arriverà un punto in cui dirò “è come in un combattimento, bla bla bla” quindi sto cercando altri sport da usare per le analogie.
Il succo della questione è semplice. Il combattimento è la cosa in cui è più semplice capire i propri errori.
Se fai un analisi sbagliata della situazione ti arriva un destro.
Ti conviene ammettere di aver sbagliato e correggerti. Fine.
Grazie mille per l’intervista e in bocca a lupo per i tuoi progetti futuri.
Grazie a te per la curiosità.
Lorenzo Bruno
2 maggio 2015