Siamo insetti: la dittatura degli algoritmi
«Il capitalismo sfrenato, focalizzato sui profitti a breve termine, può causare gravi danni alle comunità e ai principali bisogni della società. Del resto, il vero costo dei prezzi bassi è il fatto che il costo di una merce è a carico della società» Lui è Philip Kotler, padre del marketing moderno.
Qualche anno fa, insieme a Christian Sarkar, ha scritto un libro che ha rivoluzionato il modo di concepire il libero mercato e le relazioni tra comunità e merce.
Brand Activism, così il nome del libro, è un virus che hackera lo status quo per rimettere al centro delle comunità i cittadini. Il feticismo della merce — per dirla con Marx — deve essere superato da un attivismo dei brand, i quali non dovranno più produrre per il solo profitto, bensì dovranno dirsi pronti a reinvestire gli utili in azioni che impattino sul benessere comune.
Ultimo colpo di coda del capitalismo o sua definitiva condanna a morte?
Allo stato attuale delle cose, tolte le eccezioni citate da Kotler come esempio di lungimiranza imprenditoriale, la lista degli esempi negativi è di gran lunga più numerosa (e potenzialmente letale per il pianeta).
A dimostrarlo è stata Giulia Innocenzi, giornalista d’inchiesta da anni attenta alle dinamiche dell’industria agroalimentare, che con il suo reportage Food for Profit, ha smascherato le inefficienze della Politica Agricola Comune europea e gli orrori dietro agli allevamenti intensivi (finanziati spesso e volentieri da contributi pubblici).
Più che a un giardino ben curato, il mondo in questo momento sembra uno di quei tritacarne filmati di nascosto da Innocenzi: un posto in cui in nome della competitività e del profitto diventa lecito distruggere ecosistemi, limitare diritti individuali, asfaltare ogni tipo di equilibrio sociale.
Ma come è possibile fare tutto questo?
Il tecno-capitalismo è la più grande caverna platonica mai esistita. E quindi basta sapere come far digerire le cose, adottare strategie di ingegneria sociale adatte, attuare quelle che Noam Chomsky definirebbe le 10 regole del potere. Su questo particolare aspetto si è soffermato il massmediologo Paolo Landi, in un libro edito dalla casa editrice KrillBooks dal nome particolarmente esplicativo: La dittatura degli algoritmi – Dalla lotta di classe alla class action.
Nei 12 capitoli del pamphlet, Landi ripercorre (per mettere in crisi) i binari del post-capitalismo ponendo l’attenzione su quei macrotemi diventati trend: Great Resignation, Chiara Ferragni, la Blackchain, la solitudine, l’inquinamento digitale.
Parole chiave che in rete sono diventate hashtag virali, spettacolarizzate per la sola frenesia di creare contenuti.
Content is the king: il contenuto è ancora l’attore principale di ogni campagna di marketing ben strutturata. E questo perché siamo sempre più degli utenti bisognosi di essere intrattenuti. Siamo degli insetti, come ci ha ricordato Netflix sui maxi schermi delle stazioni di Roma e Milano, pronti a commentare l’ultima serie tv del momento. Peccato che, mentre siamo distratti dalle luci della ribalta, ci stanno portando via il pianeta.