Quell’11 settembre che cambiò l’Occidente… ed il Medio Oriente
Il male è banale, poiché può operare solo sulla superficie delle cose. La sua è una natura effimera, che non è in grado di andare in profondità. Con queste semplici parole si potrebbe riassumere il messaggio che la giornalista Hannah Arendt cercò di trasmettere quando seguì il processo Eichmann (che si occupò della deportazione nei campi di concentramento di milioni ebrei).
Un messaggio che vale la pena ricordare anche quest’oggi, 11 settembre 2013, dodicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle, ed al Pentagono, che ha visto morire oltre 3000 persone.
Era un pomeriggio di fine estate qualunque qui in Italia. Mancavano pochi giorni alla riapertura delle scuole e mentre ero intento a finire gli ultimi ‘compiti delle vacanze’, annoiato decisi di accendere la tv per apprendere, praticamente in diretta, del tragico evento che aveva colpito gli Stati Uniti. Anche se appena tredicenne capii subito che si trattava di un evento destinato a cambiare per sempre gli equilibri fra occidente e medio oriente. La ‘nouvelle belle époque’ che si era instaurata al termine del secondo conflitto mondiale, in buona parte dell’Europa e delle Americhe, si fece più cupa e le parole più, oggi si direbbe di ‘tendenza’, diventarono paura (del diverso), terrorismo, attentato, intervento militare, timore, controlli aeroportuali, violenza e rivalsa.
A distanza di dodici anni l’Occidente ha scoperto una nuova forma di male, quello degli attentati e delle stragi. Che sia per motivi religiosi, razziali, per puro fanatismo o per ‘noia’ i casi di attentati si sono susseguiti in maniera vertiginosa. Dalla strage di Utoya per mano del folle Breivik (69 vittime), ai soldati decapitati per le vie di Londra, le bombe esplose pochi mesi fa durante la maratona di Boston, passando per i molti cittadini, fanatici o deviati, che hanno imbracciato un’arma per uccidere altre persone, per noia come successo poche settimane fa in Oklahoma (Usa), o per puro senso dell’emulazione, come nel caso della strage di Denver quando il 24enne James Holmes uccise 70 persone durante la prima del film Batman perché voleva essere come Joker.
Quel tragico attentato dell’11 settembre forse ha portato le persone ha reagire in modo diverso difronte alla paura data dalla non conoscenza, maggior alleata del male: reagire con la violenza dimenticando l’importanza del dialogo. Atteggiamenti questi che sono stati ‘abbracciati’ e diffusi maggiormente anche grazie alla netta decadenza culturale e di valori che ha colpito l’occidente negli ultimi quindici anni.
Nel vicino Medio Oriente, dove gli attentati erano all’ordine del giorno già prima dell’11 settembre il cambiamento è stato diverso: Primavera Araba. Così è stata chiamata la ventata di democrazia, più una folata, che ha invaso le nazioni del Magreb prima (Egitto, Libia, Tunisia) e buona parte del Medio Oriente poi.
Oggi a dodici anni di distanza si ci interroga su quali saranno le sorti della Siria, terra devastata da una guerra civile figlia della Primavera Araba. Il presidente degli United States of America spinge per un attacco militare (con la motivazione del voler interrompere l’uso di armi chimiche da parte del governo di Bashar Al Assad), a dispetto della Russia di Putin che preme per una soluzione diplomatica. Nel mentre Papa Francesco prega e spiega l’importanza di una soluzione pacifica al conflitto, per evitare possibili scenari da terza guerra mondiale.
A dodici anni di distanza quella ‘nouvelle belle époche’ di prosperità e serenità sembra essere solo un ricordo. Intanto la banalità del male continua ad agire nella superficie delle cose. Per dimenticarsi di quanto sia facile fare le scelte giuste basterebbe guardare il tributo di luce alle Torri Gemelle: 88 fari che proiettano, in notturna, quella che un tempo era la forma degli edifici crollati.
Il male non potrebbe mai arrivare tanto in alto.
Enrico Ferdinandi
11 settembre 2013