La letteratura russa secondo Paolo Nori
Il significato profondo di una proiezione artistica può trovare la sua essenza in variabili sfumature, dall’attribuzione di un forte capitale simbolico o al riconoscimento dell’unicità del talento espresso in un gesto irripetibile. Nella ricerca di tale senso, la letteratura russa offre una sua dimensione specifica, muovendosi tra due istanze tangenti ma apparentemente o paradossalmente distanti: la capacità di intersecarsi con la realtà e allo stesso tempo un processo espressivo di descrivere il quotidiano fuori dall’ordinario.
Nella prima accezione, gli scrittori russi hanno inseguito in modo così entusiastico la realtà fino ad arrivare, non tanto ad avvicinarsi ad essa ,quanto a sovrapporvisi e superarla: l’espressione letteraria russa è divenuta essa stessa reale, a provarlo, esempio semplice ma sincero, il modo in cui protagonisti d’inchiostro sono tutt’oggi oggetto dei tour delle città di Russia sostituendosi, in parte, alla pur ricca antologia che ne caratterizza la profonde vicende storiche.
Paolo Nori e la letteratura russa
Come sottolinea in modo chiaro Paolo Nori nel suo ultimo libro edito da Utet, “I russi sono matti”, tale capacità di aderenza della letteratura russa al reale è riconducibile, a differenza delle caratteristiche dell’italiano, alle origini parlate e popolari del russo, lingua nata e strutturatasi nell’utilizzo quotidiano e solo successivamente ascesa all’applicazione scritta mediante il processo di alfabetizzazione.
Questa caratteristica consentirebbe di fatto alla lingua russa di esprimere quella forza di penetrazione dell’esistente in quanto allevata dall’uso ordinario. Elemento quest’ultimo assente nell’italiano, lingua principalmente definitasi attraverso lo standard alto della scrittura e divenuta secondariamente registro nazionale rispetto ai dialetti, vere lingue istintivamente materne della nostra esperienza di italiani.
Tali caratteristiche della lingua russa potrebbero allora essere elemento esiziale per l’espressione artistica di tipo letterario, subendo eccessivamente il peso del reale. Contrariamente a tale gravame gravitazionale dell’esistente, gli autori russi riescono a sfuggire a questa trappola: descrivere la realtà uscendo dalla banalità del linguaggio usurato del quotidiano.
Il legame con la realtà non diviene impedimento ma fornisce agli autori russi la capacità di scavare nel profondo. Quel contatto diviene capacità di rivelare ciò che abbiamo davanti agli occhi e che ormai non siamo più in grado di vedere in quanto nascosto dall’uso continuo dello sguardo e della parola. Come scritto da Agamben quello che fa l’arte non è rendere visibile l’invisibile ma rendere visibile il visibile.
La letteratura russa diviene allora quella lente d’ingrandimento in grado di farci vedere le piccole cose di tutti i giorni ma in modo del tutto nuovo. Così raccontandoci il loro quotidiano, gli scrittori russi ci raccontano anche del nostro quotidiano. Forse per questo, come scrive Nori, la passione per quei “matti” dei russi deriva dal fatto che arrivano in profondità, a ferirci e a farci stare male