Il sincretismo di Malraux è una chiave per capire l’Occidente di oggi

Cambogia. Comune di Angkor. 1923. Una ricca ereditiera di una famiglia ebraica di origini tedesche e un ricercatore francese della École des Langues orientales dilapidano la loro fortuna a causa di investimenti errati in borsa. Il ricercatore, allora, per rimediare, pensa ad un viaggio in Indocina dove recuperare dei reperti archeologici per poi rivenderli in Francia.
Sembra lo storytelling di un film d’avventura, à la Indiana Jones, ma è la storia di vita di André Malraux e di sua moglie Clara Goldschmidt.
Personalità duttile, Malraux, più di ogni altro scrittore, ha incarnato alla perfezione la sintesi tra Arte e Storia; con la maiuscola. Dal rubare bassorilievi nel tempio del X secolo d.C. di Baneteay Srei all’essere ministro plenipotenziario al fianco di de Gaulle, fino ad intrattenere rapporti di amicizia con Picasso e Matisse. Un uomo sempre sulla soglia dell’abisso, militante antinazista e antifascista, sicuramente trockijsta, considerato soltanto un “compagno di strada” esterno dai товарищ (tovarišč, compagni) sovietici.
De Piante ridisegna nel libro “Occidentali quali valori difendete?” (curato da Maura Baldini per la traduzione e prefato da Massimo Rafaeli) tutta la storia – o meglio, le vite parallele – non a caso il suo essere talvolta estremo, in altri attimi eccessivo lo fa sembrare proprio un personaggio del noto compendio di uomini celebri plutarchiano – di Malraux attraverso i suoi scritti nei vari decenni. Fin dai primi discorsi pronunciati al Congresso degli scrittori sovietici a quello realizzato per la difesa della cultura tenutosi a Parigi, il sincretico scrittore e politico francese si batte per un’arte che deve continuare a pretendere la verità per contrastare la deriva della volontà di apparire dell’artista. La condizione – ci leggesse, aggiungerebbe il termine “umana” – della trasmissione della nostra eredità culturale passa per l’arte e, tra le righe, quel “mostro” che è la riproducibilità tecnica benjaminiana sembra sempre fare da sfondo ad ogni suo discorso.
Poi l’attivismo. Il primo gollismo post-bellico indirizza Malraux verso una politica di grandeur e di opere sociali, sebbene in un governo a trazione conservatrice. Mai sentito legato ad un dogma, attraverso le sue mutazioni è rimasto comunque fedele al sé di partenza, ritenendo che l’umanesimo fosse l’unica chance per raggiungere l’immortalità.
Se oggi ne parliamo, qualcosa ha raggiunto. Non sappiamo se proprio quel senso di inalterabilità da lui sempre inseguito, di certo vero modello plastico di riferimento.
Oggi, in un universo del post-, in un periodo in cui facciamo più prove tecniche di trasmissione rispetto all’andare veramente in diretta, la nostra cultura resta impantanata in un interrogativo orientato soltanto alla volontà di accrescere la coscienza e l’autoaffermazione del sé del singolo individuo. Non chiediamo certo un nuovo Malraux ma forse che sia necessario leggere qualche volta un suo scritto sulla condizione umana affinché si possa ritardare, almeno dentro di noi, la morte cerebrale della cultura odierna, caduta a terra, senza un lamento, esangue?
“Aujourd’hui, jeunesse, puisses-tu penser à cet homme comme tu aurais approché tes mains de sa pauvre face informe du dernier jour, de ses lèvres qui n’avaient pas parlé ; ce jour-là, elle était le visage de la France” (Oggi, gioventù, possa tu pensare a questo uomo come se stessi avvicinando le mani al suo povero volto informe nell’ultimo giorno, alle sue labbra che non avevano parlato; quel giorno, egli è stato il volto della Francia).