I figli di Genova: carruggi, cieli d’ardesia, poesie di pietra e sale

Genova: città di porto, di marinai, di sogni verso terre lontane e di contrasti. Divisa tra le onde del Mediterraneo e le primaverili colline liguri; custode nei suoi vicoli e nelle sue piazze di storie di vita vissuta che hanno ispirato generazioni di artisti, caratterizzato lo stile di scrittura e di pensiero.
Genova lenta ma costante come le onde del mare.
“Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”
Genova orgogliosa, altera, Genova La Superba come la appellò Francesco Petrarca.
Dall’eterno Paolo Villaggio al neovincitore del Festival di Sanremo Olly, passando per l’inarrivabile Fabrizio De André, Genova è sempre stata faro per una cultura unica nel suo genere: lontana per alcuni versi dalla cultura prettamente accademica e “pettinata”, vicina invece alla sua gente, complessa come i suoi vicoli e profonda come il mare nel quale si specchia.
Paolo Villaggio, con il suo indimenticabile Fantozzi, ha saputo far sorridere amaramente gli italiani trasformando in commedia quel senso di inadeguatezza e quel fatalismo tipicamente genovese.
Ligure DOC, ha portato sullo schermo l’ironia e la capacità di rialzarsi sempre di una città abituata a guardare il mare e a confrontarsi con l’orizzonte infinito, spesso a perdercisi per poi ritrovare la via di casa, come i suoi marinai prima di ogni partenza.
Fabrizio De André, il poeta per eccellenza, l’esempio, la guida, a tratti l’inarrivabile, geniale nel trovare nei caruggi l’ispirazione per le sue ballate più intense. Nei vicoli più stretti della città vecchia, dove la luce filtra a fatica tra le finestre ravvicinate ma dove la vita corre veloce, forse troppo. De André ha dato voce agli emarginati, ai diseredati, a quei personaggi che la società preferiva non vedere e non accettare. La sua Genova era quella autentica, fatta di prostitute, marinai, di vita di strada, di sbandati ma anche di una dignità che resisteva a ogni tempesta.
Il mare di Genova non è solo un elemento geografico, ma una presenza costante nell’anima dei suoi abitanti. Un sale che rimane sulla pelle per sempre.
Quel Mediterraneo che per secoli ha rappresentato via di fuga e di ritorno, teatro di conquiste e di sconfitte, di sogni di gloria, specchio di solitudini e di passioni fatali. I marinai genovesi, con la loro nostalgia perenne, hanno sempre incarnato quel dualismo tra l’appartenenza, la potenza dell’esserci e la voglia di fuggire lontano, tra le radici profonde e il richiamo dell’ignoto.
Odi et amo.
La luce che si riflette sull’acqua al tramonto, tingendo di rosso e arancio le facciate dei bei palazzi, racconta di una città che ha fatto della bellezza contrastante il suo marchio di fabbrica.
Un dialogo ininterrotto tra arte e terra, tra sudore e palco, tra gloria e assenza di ego.
I carruggi come arterie emotive e pulsanti, microcosmi dove ogni angolo custodisce un segreto, ogni piazzetta racconta una storia, culle di anime ribelli e di mani operaie. L’odore della focaccia nei forni appena uscita si mescola a quello del mare, mentre le voci alte dei pescivendoli si alternano ai sussurri degli innamorati.
In questi vicoli, De André disegnava i suoi personaggi, Villaggio affinava la sua ironia caustica, e oggi i nuovi artisti genovesi cercano ispirazione per le loro rime.
La vena artistica di Genova ha legittimamente cambiato pelle ma non ha smesso di pulsare. I paragoni ci sono ma spesso restano sterili, appellare la nuova scena genovese (prima Tedua, Izi, Rkomi ora Bresh e Olly) ad un remake 3.0 di Faber è una “cagata pazzesca” per dirla alla Villaggio.
Se Genova è la mamma, è normale che i suoi figli abbiano tutti una parte dei suoi tratti.
Guai a cercare il nuovo De Andrè nelle melodie di Olly o nei racconti del passato senza troppa nostalgia di Bresh. La cruda poesia della periferia di Tedua e Izi non è la ballata di Faber ed è giusto così.
La nuova scuola sta scrivendo la sua storia, non sta ricalcando quella di altri e lode a chi a modo suo porta luce alla Lanterna, orgoglioso di una città faro della cultura italiana.
A Genova la tradizione abbiamo capito che non muore nonostante le mode ed i tempi, l’innovazione nutre le radici non le recide.
A Genova la nostalgia non è rimpianto ma amore che resiste al tempo e alla distanza, le storie non si dicono si sussurrano, non si perdono ma restano sui muri dei carruggi, baluardo eterno di ballate tra ultimi innamorati.