La realtà aumentata e la realtà ascoltata

“Toccare il segno: ecco la cosa straordinaria, miracolosa!
Quella normale, comune, è di mancarlo.”
L’uomo che fu Giovedì, Chesterton
Una delle più grandi forme di povertà del nostro tempo è l’incapacità di ascoltare ciò che ci circonda. Uscendo di casa, camminando in città o in un parco, siamo sordi rispetto ai luoghi, alle situazioni e alle persone che comunicano con noi. Benché il verbo ascoltare rimandi al campo semantico dell’udito, il significato in cui qui lo impieghiamo è più vicino a quello del verbo ‘sentire’: non sono soltanto le parole e i suoni che possiamo ascoltare, non è solo l’orecchio che possiamo utilizzare, ma anche ogni senso del nostro corpo e l’intelletto sono ricettori di messaggi che arrivano dall’esterno. Ascoltare, tuttavia, non è semplicemente un ‘sentire’ ma un “sentire con attenzione”, cioè non una mera ricezione di input ma un’interazione, un botta e risposta tra noi e il mondo. Nel momento in cui qualcosa ci tocca, ci interroga, ci disturba, ci affascina, allora lo stiamo ascoltando e, probabilmente, cercheremo di rispondergli.
Ripropongo e arricchisco l’incipit dell’articolo: Una delle più grandi forme di povertà del nostro tempo è l’incapacità di ascoltare ciò che ci circonda, anche i luoghi e le situazioni. Troppo spesso la comunicazione viene ridotta a quella tra esseri umani, al massimo tra uomo e animale, perdendo la ricchezza delle possibili interazioni con l’ambiente, le piante, le cose. Figli di una mentalità materialista, per la quale ogni traccia di ‘spirito’ viene eliminata dal mondo come mera illusione o costruzione, siamo portati a considerare le cose esterne soltanto come strumenti o ornamenti della nostra quotidianità. Avendo perso l’idea che ogni cosa o situazione ha, o può avere, una funzione, uno scopo, un valore, non siamo più portati ad interrogare e a lasciarci interrogare dal mondo. Un’interessante spiegazione di questa ‘sordità’ alle cose viene proposta dal filosofo canadese Charles Taylor. Nel mondo antico e medievale, spiega Taylor, si credeva che alcuni oggetti avessero vita propria, un effluvio divino o un’anima, e che come tali andassero venerati, interrogati ed eventualmente ascoltati. La cristianità medievale e il suo culto delle reliquie diventano pienamente intellegibili in quest’ottica, così come il rifiuto che gran parte della modernità farà di questo universo ‘spirituale’ in nome della certezza scientifica e di un mondo meccanicisticamente inteso. Con Taylor, tuttavia, condividiamo la sensazione che in questo passaggio al moderno qualcosa di importante sia stato lasciato da parte, e specificamente la nostra capacità di interpellare le cose che ci circondano.
Le nostre città sono diventate silenziose. Non ci riferiamo al livello di rumori urbani che, se possibile, sono in aumento, ma alla capacità di interagire con i quartieri nei quali ci muoviamo e con la vita al loro interno. Gli edifici, le strade, le opere d’arte hanno tante storie da raccontare, storie che riguardano l’uomo e storie che lo trascendono, lasciti di un passato lontano e anticipazioni di un futuro possibile. Un esempio valga più di mille parole. Qualche giorno fa, camminando per Roma, mi sono imbattuto in una via dedicata a Giambattista Vico, filosofo e storico italiano del XVII-XVII sec. Nella foto vedete come la targa fosse parzialmente coperta dal ramo e della foglie di un albero, nascondendo quasi per intero il nome. Un incontro semplice, casuale, che diventa denso di significato se pensate che in questo periodo mi sto occupando della filosofia (ed economia) italiana del 1700, e che i testi di Vico potrebbero rappresentare la chiave di volta per un mondo a cui riesco a malapena riesco ad accedere.
Non è necessario studiare filosofia per fare incontri nelle città. Tante cose parlano ad ognuno di noi, tante con linguaggi diversi a seconda delle diverse esperienze e persone. Possiamo stupirci ogni giorno della varietà dei messaggi che ci vengono inviati, troppo spesso ridotti alla sola categoria della bellezza estetica. Quando interrogava la Natura, Leopardi scopriva molto più della bellezza nel mondo. Nei quartieri troviamo la povertà di chi mendica il pane accanto alla magnificenza dei monumenti, la creatività di chi lavora in centro così come in periferia, la dignità di chi fa un lavoro che non ama e che ciononostante lo fa al meglio, la cura di chi si occupa degli altri e dell’ambiente, e tanto altro. Persone, cose e situazioni diventano tutt’uno se si ha la capacità di ascoltarle.
Due considerazioni vanno aggiunte prima di avviarci alla fine. In primo luogo, c’è una spirale perversa tra l’incapacità di ascoltare il reale e la capacità di comunicare con gli altri esseri umani. I contenuti e la qualità dei discorsi si impoveriscono parallelamente al silenzio rumoroso delle cose che ci circondano. I pochi che sono ancora capaci di ascoltare vengono così scoraggiati a proporre argomenti di conversazione che non trovano corrispondenza, e si adatteranno a ciò di cui tanti ‘sordi’ parlano. Per questo dobbiamo valorizzare le persone coraggiose, spesso identificate come diverse o, peggio, noiose. C’è una bellissima frase di Achille Loria, economista italiano del XIX-XX sec., per la quale devo ringraziare uno dei miei maestri che lo ha riportato in auge, che mi sembra si adatti alla situazione: “Chi non ha il coraggio di dire ciò che pensa, finisce col pensare se non quello che avrà il coraggio di dire”.
In secondo luogo, saper ascoltare non è una capacità innata dell’uomo, ma frutto di continuo esercizio e apprendimento. Ogni ambito del sapere confluisce nel mondo, nelle cose come nelle persone, e come tale può comunicarci qualcosa. Non sto auspicando un mondo di tuttologi, ma è certo che un tipo di educazione che sia, almeno in alcune fasi della vita, di ampio respiro può abituarci ad essere ricettivi e propositivi rispetto all’esterno. Abituiamoci ad ascoltare, ad ascoltarci, per arricchirci e arricchire il mondo in cui viviamo.
Solo adesso, a fine articolo, voglio svelare le ragioni che ne sono alla base (pur essendo indicate nel titolo). Mi preoccupa il fenomeno della realtà aumentata, resosi evidente in queste settimane con un gioco a tutti noto. Non ho né le categorie né il tempo per comprenderne la portata, e non è mia intenzione dare un giudizio. Ho voluto semplicemente proporre una libera riflessione che dia una diversa sfumatura al termine ‘aumentata’. Prima di arricchire il mondo con altri mondi, forse, dovremmo re-imparare ad interpellare ed ascoltare quello in cui già viviamo.